“Il teatro porta alla vita e la vita porta al teatro. Non si possono scindere le due cose.” Attore,regista, poeta,scrittore, sceneggiatore,Eduardo De Filippo ,icona della drammaturgia internazionale,era nato a Napoli il 24 maggio 1900,morì il 31 ottobre del 1984,all’età di 84 anni. Il maestro ha saputo raccontare i rapporti generazionali e la lotta tra verità e finzione in un mondo che si fa sempre più competitivo e alienante. L’attenzione alla verità, la denuncia delle ingiustizie e la ricerca di una via d’uscita attraverso il dialogo sono solo alcuni dei valori che Eduardo, in tutta la sua vita, ha difeso e messo in scena. Fu nominato senatore a vita da Sandro Pertini , nel settembre 1981, le sue commedie, ambientate a Napoli, contengono battute che sono entrate a far parte del lessico della lingua italiana. Pronunciò un solo discorso al Senato sull’Istituto Gaetano Filangieri di Napoli e dei ragazzi che spesso, a causa di carenze sociali, hanno dovuto deviare dalla retta via; ho trattato vari problemi del nostro paese, molti dei quali ancora oggi irrisolti, primo fra tutti la questione morale, poiché solo su una base morale l’uomo attraverso i secoli ha edificato società e civiltà. Il guaio succede quando si è costretti a vivere nel vortice sfrenato del consumismo di oggi obbedendo a leggi vecchie e superate.E in questo, a mio parere, consiste la presente ingovernabilità del nostro paese; insomma, ogni santo giorno noi italiani ci troviamo di fronte al solito dilemma: o vivere fuori dal nostro tempo o fuori dalle nostre leggi.Ma torniamo a Napoli, a Napoli milionaria e alle questioni che con quella commedia ponevo sul tappeto e che sul tappeto sono rimaste. Nel 1945, finito il fascismo, finita la guerra sentivamo che ci sarebbe stato bisogno di sacrifici per conquistare la libertà e il benessere sociale. Ma ecco invece che cominciano ad arrivare gli aiuti e non in maniera morale, normale, accettabile e benefica, bensì in quantità esagerata che ha falsato tutto lo sviluppo delle nostre sacrosante aspirazioni. Insomma siamo entrati nella storia del dopoguerra come protagonisti non paganti, come entrano in teatro i portoghesi, che lo spettacolo se lo godono meno di tutti perché non hanno pagato il biglietto. Alla fine del 1981, invitato dai ragazzi e dal loro direttore, dottor Luciano Sommella, ho visitato il Filangieri un complesso veramente degno, dove i ragazzi vengono curati, assistiti secondo principi umani e civili .I ragazzi di 11, 12, 13 anni, che sono poi le vere vittime di una società carente come la nostra nei riguardi della gioventù, entrano nell’istituto in attesa di giudizio e vi restano spesso per anni e anni. Compiuti i diciotto anni, poi, ancora in attesa di giudizio, i ragazzi vengono trasferiti nelle carceri di Poggioreale. Ora bisogna tener conto del fatto che i napoletani, e in specie quelli di diciotto anni, sono pieni di fantasia, pieni di spontanee iniziative in caso di emergenza, sempre vogliosi e mai appagati da un minimo di riconoscimento sincero per la loro vera identità.