da Nicola Femminella (docente – giornalista – scrittore)
Tra agosto e settembre due eventi: le Paralimpiadi a Parigi e il caso Sangiuliano, Ministro alla Cultura della Repubblica Italiana. Dovrebbero essere distinti in evento e accadimento, volendo dare un significato semantico ai due sinonimi. Titoli su tutti i giornali e molte ore dedicate dalle televisioni nei palinsesti quotidiani. I giochi olimpici, per offrire uno spazio gradito ai lettori e ai milioni di telespettatori amanti dello sport; per intrattenere e appagare la curiosità, le vicende del Ministro, le cui traversie continuano a occupare la cronaca quotidiana dei mass-media, con scoppi pirotecnici quotidiani. I nostri atleti sono tornati, invece, nella zona grigia dell’anonimato dopo pochi giorni, nonostante abbiano dato lustro al nostro Paese. Non è valso il convincimento che facendoli conoscere meglio, le loro vicende dolorose, ma il riscatto splendido con la pratica sportiva, il sogno realizzato con tenacia e sacrifici, sarebbe stato un esempio luminoso e avrebbe arrecato frutti copiosi alla formazione dei nostri giovani. Essi hanno procurato emozioni intense e momenti avvincenti agli Italiani, particolarmente vibranti quando le atlete e gli atleti, in gran numero, sono saliti sul palco delle premiazioni. Il ministro Sangiuliano, dal canto suo, a mio modesto avviso, farà di certo accrescere la disaffezione di noi tutti verso la politica per la sua poca accortezza nell’interpretare il valore costituzionale della carica assunta.
Ritengo già sufficienti le poche parole qui riportate nel citare quanto ha visto protagonista il massimo responsabile delle politiche culturali del nostro Paese, perché tale onorevole incarico, come tutte le altre che riguardano gli affari pubblici generali, richiede un rigore morale che esclude momenti di debolezza umana; in misura al massimo grado, quando l’alta carica conferisce all’interessato l’aureola, elargita dagli ordinamenti apicali dello Stato. Non a caso i ministri giurano nelle mani del Presidente della Repubblica e sulla Costituzione per l’assunzione dell’alto compito che si andrà a rappresentare nella vita del Paese. Lo si deve tutelare e rendere quasi sacro, senza mai trascinarlo in beghe personali indecorose, cause di penetranti e devastanti criticità istituzionali. Men che meno in scandali di bassa lega. La verità si pone con forza da sola, senza le contumelie dialettiche che in tutte le ore della giornata ci hanno indotto a spegnere il televisore, quando la sola cosa da fare era stendere sulla vicenda un velo pietoso, opportuno in questi casi. E invece sono comparse le difese di parte, sono stati subito invocati i complotti, i personaggi nascosti a tessere le fila dell’attacco al governo, le giustificazioni insostenibili, le accuse di falsità architettate e altre scalate su specchi che impedivano le giustificazioni insostenibili. Con accuse infamanti all’altro personaggio coinvolto insieme al Ministro: la signora Boccia, che non vedendo giunta a buon fine la propria istanza a diventare consigliere del Ministro, si sarebbe vendicata dello stesso, rivelando notizie, a detta dei suoi accusatori, false e almanaccate. La vicenda ha provocato un clamore maggiore, quando è emersa una relazione sentimentale tra i due che ha reso la vicenda ancora più arruffata dalle sembianze mediocri del gossip.
Bastava affermare che il nostro Ministro è stato preda dei sentimenti prevalenti sul decoro istituzionale, che lo stesso avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni immediate e chiedere scusa ai suoi connazionali e soprattutto ai giovani ai quali ha dato una cattiva rappresentazione del ruolo chiamato a rappresentare. La classica debolezza umana di un uomo, che i Romani liquidavano con la locuzione “errare humanum est”, che non avrà la seconda parte del detto latino, perché non credo che Sangiuliano riceverà un secondo incarico governativo. Ho incontrato il ministro tre volte ad Ascea, Buccino e Padula e mi aveva colpito il suo ardore nel proclamare che avrebbe speso ogni energia a favore di Napoli e per la Campania. Tant’è che al terzo incontro gli ho consegnato un progetto inerente lo sviluppo dei siti archeologici dei nostri quattro comprensori e la mia opera “I Tesori dei Lucani e dei Sanseverino”. Non ho ricevuto alcun riscontro a riguardo e ho pensato che aveva affari più importanti a cui pensare.
Ma torniamo alle emozioni forti. Quelle che si sono svolte sotto gli occhi degli spettatori, senza misteri nascosti e impenetrabili. Nelle piscine, nelle palestre, sulle pedane dove avvenivano le gare e dove era dato di conoscere il loro svolgimento e l’atto finale. Per prima i dati raccolti alla chiusura dei Giochi avvenuta l’8 settembre scorso. Gli atleti italiani che hanno partecipato sono stati 141 in 17 discipline diverse. 71 le medaglie mostrate dallei nostre atlete e atleti sui podi: 24 d’oro, 15 d’argento, 31 di bronzo. Un record davvero non previsto, perché con due medaglie in più ha superato quello di Tokio, che già aveva segnato cifre da capogiro. Sono ben undici le discipline andate a medaglia: nuoto, atletica, ciclismo, tennistavolo, tiro con l’arco, scherma, triathlon, equitazione, pesistica, taekwondo, tiro a segno. Il nuoto ci ha riservato una vasca d’oro nella quale ci hanno mostrato perle lucenti Stefano Raimondi e Carlotta Gilli che hanno portato a casa ben cinque medaglie a testa e Simone Barlaam quattro. L’Italia al sesto posto nel medagliere! Dopo i Paesi siderali Cina, Gran Bretagna, Stati Uniti e le quotate federazioni di Olanda e Brasile. Il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sugellato il successo ottenuto, invitando il 23 u.s. gli azzurri nei sontuosi saloni del Quirinale, per riprendere le bandiere tricolore, dopo la celebrazione delle Olimpiadi e Paralimpiadi e regalare loro la Medaglia del Presidente. Le numerose vittorie ottenute ci hanno procurato riconoscimenti e onori tributati al nostro Paese dagli sportivi del mondo intero, di cui dobbiamo essere orgogliosi e rivolgere profonda gratitudine al Presidente del Cip Luca Pancalli, ai suoi collaboratori, ai tecnici e agli atleti.
Contemporaneamente, però, sarebbe stato utile e doveroso nei giorni successivi fare qualche riferimento alle vicende umane degli atleti, uno per uno e utilizzarlo per lanciare messaggi educativi ai ragazzi. Ciascuno di essi, a un certo punto della propria esistenza, ha conosciuto la disabilità fisica, quella che inchioda chi ne è portatore, a una condizione di estrema fragilità fisica, con un aggravio su quella psichica. Non essere come gli altri! Una condanna a vita! Spesso non essere autonomo e dipendere da mani misericordiose. Non poter fare tutto quello che passa per la testa e rimanere fermi al nastro di partenza. Senza averne alcuna colpa, ma solo un incidente non previsto, nefasto oppure un chiodo genetico immeritato e sconosciuto. Ogni giorno nei loro occhi la sofferenza, sempre uguale, muta, fissa su una comunicazione cinesica prevalente che non lascia dubbi. Dentro di loro la presenza irriducibile della impossibilità a sorpassare l’asticella posta sulla misura più accessibile del vissuto quotidiano, quella delle piccole cose, minime, quelle che a centinaia si effettuano durante la giornata, che i loro amici praticano ogni secondo. In questo quadro assumono significato profondo ed esempio taumaturgico le vittorie dei nostri atleti eroi. Si può vincere l’handicap fisico, addirittura lo si può umiliare, ponendo l’alloro olimpico sul proprio capo di eroe irriducibile! E sorridere, e piangere di gioia, e alzare le braccia al cielo azzurro, scomparse in un attimo le nubi nere e minacciose.