Si vota per l’Europa, ma si ritorna agli stati regionali! Non è la strada giusta.

 

da Nicola Femminella (docente – giornalista – scrittore)

L’8 e 9 giugno il Paese è andato alle urne per il voto europeo; il 19, dieci giorni dopo, la Camera ha votato l’Autonomia Differenziata che di fatto significa il ritorno agli Stati regionali! La solita Italia, fatta di egoismi e divisioni. Non basta la persistente e perniciosa diversa velocità con la quale il Nord e il Sud viaggiano lungo la strada delle conquiste sociali ed economiche. La locuzione “Questione Meridionale”, maturata nel contesto postunitario, è destinata a rimanere nella storiografia italiana.

Il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata approda, dunque, in Parlamento e compie un passo determinante, approvato dalla coalizione che governa il Paese. L’iter legislativo e le dinamiche che sorgeranno tra maggioranza e opposizione prevedono altri passaggi, fino al referendum più che probabile a cui sarà chiamato il popolo italiano, che dovrà pronunciare l’ultima parola in merito.

La maggioranza esulta, con maggiore enfasi la Lega, che la etichetta come un provvedimento epocale destinato a favorire lo sviluppo dell’intera nazione, eliminando tutte le pastoie che finora ne hanno rallentato il cammino verso destini fulgidi. La premier Giorgia Meloni ha sottolineato che la legge servirà per “superare le differenze tra i diversi territori della nazione … Essa annullerà le logiche del passato incentrate su politiche meramente assistenziali, soprattutto nel Mezzogiorno”.

Le forze dell’opposizione, invece, la marchiano con il sostantivo “vergogna”, a cui aggiungono gli aggettivi “infamante e scellerata”, destinata a dividere l’Italia in due, dopo che i martiri del Risorgimento e i Padri della Costituzione l’avevano resa una e unita con il sangue del loro sacrificio. Aggiungono che ancora di più determinerà il disagio e il ritardo economico da cui è lacerato il Sud dall’Unità d’Italia ad oggi. Il Partito Democratico ha annunciato l’intenzione di avviare una raccolta di firme per proporre un referendum contro la legge, definendola “spacca-Italia”. E incassano anche qualche cenno favorevole dalla UE, che predica l’unità e la coesione nei paesi membri del Consiglio d’Europa.

In verità l’evento era previsto, anche se è stato veicolato da una accelerazione dovuta forse alle elezioni europee e a quelle che hanno interessato in questo periodo regioni e comuni, con la Lega intenzionata a recuperare i voti persi da qualche anno a questa parte, dopo i consensi siderali del recente passato. Il provvedimento, fra l’altro, è parte di un accordo ferreo tra i tre partiti dell’alleanza di destra al governo, stipulato da tempo e che assicura una amalgama cementizia all’aggregazione. L’alleanza, è noto, prevede: l’autonomia differenziata voluta con toni aspri dalla Lega con l’aggiunta del famoso ponte di Messina; l’istituto del premierato da tempo una bandiera sventolata da Fratelli d’Italia; la riforma dell’apparato giudiziario perseguita da Forza Italia. Un patto fondato su questioni concrete stabilite dai Partiti con il loro elettorato, oltre a quelle custodite nelle nascoste e sacre stanze per l’assegnazione di incarichi e nomine, unite ad atri elementi di contenuto e mire politiche. Un accordo che ciascuno di essi ritiene utile per mantenere il governo del paese e assicurare il suo bene e, insieme, per custodire il rapporto di fiducia e fedeltà con i propri sostenitori mediante programmi condivisi.

Nel Sud il voto assume un elemento in più, perché i nostri politici assisi nelle istituzioni, da sinistra gridano al traditore contro i parlamentari di destra, eletti nelle regioni meridionali che hanno votato il provvedimento,  mentre i governatori, colleghi di partito, che reggono le regioni del Sud, criticano quanto adottato nel palazzo di Montecitorio: decisione affrettata, senza approfondirne compiutamente i contenuti, l’occorrenza finanziaria e le conseguenze negative che potranno aversi. Qualcuno di loro boccia la legge con parole chiare e note. Vedremo nei prossimi giorni se si acuirà il loro atteggiamento critico e se si trasformerà in dissenso, unendo il loro contrasto ai governatori di sinistra del Meridione, che annunciano barricate. Sull’orizzonte il referendum con il quale spero che tutti gli Italiani uniti possano assumere la giusta posizione, utile all’intero Paese, senza lasciarsi prendere dal furore irrazionale dell’appartenenza acritica alla propria bottega partitica, nella quale spesso sono stati compiuti misfatti che il Paese ha poi pagato duramente nel corso della Storia, come spesso ho scritto nel passato.

Per intanto noi del Meridione d’Italia diamoci da fare insieme ai nostri rappresentanti politici che reggono e decidono le sorti del Mezzogiorno d’Italia. Dobbiamo essere più decisi nell’intraprendere l’unica strada giusta per creare crescita e sviluppo nelle nostre regioni. L’autonomia differenziata non lo è. Fermo restando lo spirito solidaristico tra tutte le regioni, tra quelle più ricche e quelle a passo ridotto, servono due vettori per spingere il veicolo sul quale viaggiano comportamenti e assunzioni di responsabilità in grado di eliminare i mali atavici del Sud, come l’emigrazione e la scarsa possibilità di vivere in condizioni di vita appaganti e dignitose, sicurezza nel lavoro e certezza di servizi moderni e a misura d’uomo. Sono due requisiti preliminari da adottare con determinazione e buona volontà: la prima riguarda la partecipazione e l’unità di coloro che vivono nelle comunità, qualunque sia il ruolo delle singole persone; la seconda esige una maggiore capacità di studiare e mettere a profitto le innumerevoli risorse racchiuse dappertutto nelle nostre regioni, elevando al massimo grado la capacità di redigere studi e progetti in grado di utilizzarle. Non sono da ripetere le manchevolezze e le deficienze del passato. Queste hanno sicuramente arrestato il cammino del Mezzogiorno d’Italia e provocato le frequenti accuse che ci derivano da diversi strati del popolo nordista: coloro che ci hanno governato hanno dissipato ingenti risorse finanziarie, poste in campo dall’UE, dal Governo, dalle Regioni, senza che le popolazioni abbiano svolto alcuna azione decisa e doverosa di partecipazione attiva e di controllo oculato  sulle scelte fatte e sull’erogazione e gestione del danaro pubblico ricevuto e, spesso, malamente impiegato.

 

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