La Corte Costituzionale, con la sentenza n.104, del 10 giugno 2024 , ha ribadito che le dichiarazioni di deputati e senatori rese fuori dalle sedi delle Camere, quali quelle sui social media, sono insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, Costituzione, al fine di proteggere da condizionamenti lo svolgimento del mandato. Devono però pur sempre essere qualificabili come opinioni ed essere connesse all’esercizio della funzione parlamentare, oltre che essere espresse in forme improntate al rispetto della dignità dei terzi. La Consulta ha respinto un conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Milano contro la Camera dei deputati, che aveva affermato l’insindacabilità delle dichiarazioni rese da un deputato in un video su Facebook ,pubblicato nel dicembre 2018. Nel video, il deputato aveva espresso affermazioni critiche in ordine a una mostra – intitolata “Porno per bambini” – che si sarebbe dovuta tenere in un locale a Milano. Due giorni dopo, a tal proposito aveva presentato un’interrogazione parlamentare. A seguito di querela per diffamazione presentata nel febbraio 2019, la Camera dei deputati – su richiesta del Tribunale di Milano – nel gennaio 2023 aveva deliberato che quelle affermazioni sono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto tali insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, Costituzione . Il Tribunale di Milano, ritenendo invece che esse fossero espressione del diritto di critica di cui all’art. 21 Cost., ha promosso il conflitto, ritenendo impedito l’accertamento, che spetta all’autorità giudiziaria, circa il superamento o meno dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero. Nel respingere il ricorso, la Corte ha ribadito che l’insindacabilità delle opinioni prevista dall’art. 68, primo comma, Costituzione vuole garantire alle Camere che i parlamentari possano svolgere nel modo più libero la rappresentanza della Nazione delineata dall’art. 67 Costituzione. Escludendo ogni forma di responsabilità giuridica, la Costituzione pone dunque una deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, tanto più delicata in quanto l’opinione espressa dal parlamentare può collidere con beni della persona – onore, reputazione, dignità – qualificati come inviolabili. Proprio in ragione del necessario contemperamento degli interessi in gioco, la Costituzione non protegge qualsivoglia opinione, ma soltanto quella resa nell’esercizio della funzione parlamentare, indipendentemente dal luogo in cui essa venga espressa. La Corte ha sottolineato che il punto d’equilibrio tra gli antagonisti valori va ricercato necessariamente in concreto, dapprima per opera delle Camere e del potere giudiziario, poi ed eventualmente in sede di conflitto di attribuzione. A tal fine, quando si tratti di opinioni rese fuori dalle sedi parlamentari – e sempre che di opinioni si tratti e non, ad esempio, di insulti o minacce – la giurisprudenza costituzionale ha considerato indici rivelatori dell’esistenza della connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna. In tali circostanze, infatti, pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato, le opinioni rese fuori dalle sedi vogliano dar conto del significato dell’attività compiuta nell’esercizio del mandato. Ciò non toglie che anche ad opinioni non connesse ad atti parlamentari possa essere applicato l’art. 68, primo comma, Costituzione, quando sia evidente e qualificato il nesso con l’esercizio della funzione parlamentare. In eventualità del genere, lo scrutinio della Corte deve essere particolarmente rigoroso, in ragione dei contrapposti interessi costituzionali e per evitare che l’immunità si trasformi in privilegio. Deve trattarsi, dunque, non di opinioni politiche che può esprimere ogni cittadino nei limiti di cui all’art. 21 Cost., ma di opinioni funzionali all’esercizio del mandato parlamentare e della rappresentanza della Nazione: opinioni dunque che, proprio perché espressive di una funzione così alta, siano «improntate al rispetto della dignità dei destinatari della critica e della denuncia politica, in specie quando questi non siano a loro volta parlamentari: e ciò tanto più quando l’opinione è espressa per mezzo dei moderni mezzi di comunicazione – quali testate giornalistiche online o social media – che la rendono agevolmente reperibile e oggetto di ulteriore diffusione». Applicando i richiamati principi, la Corte ha ritenuto che la Camera dei deputati abbia correttamente valutato che le dichiarazioni dell’allora deputato Fidanza fossero opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari. Esse, infatti, erano funzionali a rappresentare, nella prospettiva del deputato, interessi generali, come d’altronde testimoniato dalla contestuale presentazione dell’interrogazione parlamentare, del tutto corrispondente nel suo significato, al di là della fisiologica diversità delle modalità espressive, alle affermazioni rese nel Facebook.