da Antonio Cortese (docente – giornalista)
Come per un sassolino scheggiato che aumenta raggi e rimbalzi sull’acqua cheta, l’articolo del direttore Bianchini rimanda ad una facile usanza nel mondo del media business.
Come per alcuni quotidiani venduti per sole copertine e titoli sensazionalistici via rassegna stampa televisive, ugualmente la produzione dell’intrattenimento tv da venticinque anni rimbomba i telespettatori di format show simili anche nei difetti.
L’abbaglio della notorietà istantanea, ha non solamente in Italia prefabbricato progammini che promettono fama, sesso e soldi subito.
Migliaia di canzoni inutili e personaggi senza arte e mestiere si sono avvicendati in tali teatri patinati adempiendo la profezia del quarto d’ora di Warhol, con tempi e dinamiche a brevissima scadenza, fino a trasformare ed annullare di significato anche i classici programmi come Sanremo o i vari fatti culinari ad ora pranzo.
Milioni di vane audience imbottite da altrettanti spot pubblicitari, distratti totalmente dal nulla del giorno dopo, se interrogati non saprebbero rispondere a domandi inerenti le finte passioni o eventi che svaniscono poche ore dopo la messa in onda.
Una attenta osservazione sulle pubblicità in questi programmi ad acqua e sapone sprecati, a prescindere dal prodotto nuovo o in offerta promozionale, hanno gli stessi ritmi, stesse voci di doppiatori con identici toni e jingles finto-rock sudista, avvincenti in stile da incoraggiamento e iniezione di stima fine a sé stessa. Rivoluzionare il mondo dell’advertising sarebbe ancora più una pretesa invece di una richiesta di cosciente post-assuefazione, perché rispecchiano modelli di vita che si sarebbe voluto raggiungere negli anni novanta e quindi ancora oggi non tutti ne sono alla portata.
Ma giornali e tivù, o almeno quelli statali o sussidiati per la produzione notiziaria, come evidenziato appunto dall’articolo Bianchini, non vengono avvisati del meccanismo incartato. Perché trattano e riguardano non beni di consumo o altre tipologie della vita economica ma lo svolgersi della vita attuale.
Avendo vissuto le redazioni non mi tange la tipologia dei gruppi editoriali nel mondo delle news, la posso capire, ma mi delude come la tivù generalista si sia insabbiata in una melma priva di senso e ripetitiva, lasciandosi sfuggire la liana del servizio pubblico o un minimo di deontologia alla quale aggrapparsi. La scelta di acquistare un giornale é infatti più cosciente e voluta di un semplice cambio sul telecomando televisivo.
Edoardo Bennato canterebbe “talk-show e canzonette, sulla Rai o su La Sette, si paga pure la pubblicità…”.