by Luigi Gravagnuolo 8 Maggio 2024
Scrive Lucio Caracciolo su La Repubblica di oggi, 8 maggio 2024: “La geopolitica serve a questo. Obbliga a contemplare il conflitto dall’alto (prospettiva arbitrale) e di qui calarsi per gradi e scale crescenti sul terreno disputato (sguardo conflittuale), misurando posta in gioco — oggetto del desiderio — intenzioni e risorse dei protagonisti”. Proviamoci allora su Gaza.
Che la tragedia in atto sia stata scatenata da Hamas col criminale attacco del 7 ottobre è fuori discussione, per lo meno tra quanti non hanno perso il senno. Si discute invece, opportunamente, sulle cause remote del 7 ottobre e sulla sproporzione tra vulnus arrecato da Hamas e ritorsione israeliana, con ‘effetti collaterali’ che si contano in decine di migliaia di civili palestinesi massacrati. Come pure sul ruolo dell’Iran e sul contesto di sfaldamento degli equilibri geopolitici globali nel quale si snoda la vicenda mediorientale.
Giusto, la riflessione va posta su tutta la vicenda storica del Medio Oriente e non solo, se si vuole comprendere quanto sta oggi accadendo. Tuttavia noi qui ci limitiamo a cercare di capire perché hic et nunc, nonostante tutti gli sforzi diplomatici e le pressioni degli USA da una parte e del Qatar e dell’Egitto dall’altra, non si riesce neanche a concordare una tregua di poche settimane. E si badi bene, scriviamo queste righe mentre la situazione sul campo è in piena evoluzione. Non ci stupiremmo se, al momento della pubblicazione, esse saranno superate dai fatti. Non solo non ce ne stupiremmo, ma ce lo auguriamo. Nel senso che la sottoscrizione di un accordo di tregua possa smentire quanto stiamo qui ad argomentare. Resterebbero validi, tuttavia, alcuni punti di riflessione di cui qui a seguire.
Dunque la ‘prospettiva arbitrale’. Senza entrare nel merito della Dichiarazione di Balfour del 1917 e della Risoluzione dell’ONU sulla spartizione della Palestina in due Stati del ‘47, sta di fatto che il popolo israeliano, dal giorno stesso in cui fu issata la sua bandiera a Tel Aviv, vive sotto attacco dei Paesi confinanti e sotto la minaccia di quotidiani atti terroristici che vedono protagoniste le varie milizie palestinesi. In breve, gli Israeliani vivono nel loro Stato da sempre nella paura. Ognuno di loro non sa se quando esce di casa vi tornerà sano e salvo. Inevitabile in questo contesto individuare in ogni palestinese un potenziale assassino e cadere nel razzismo. Ciononostante Israele ha mantenuto dalla sua fondazione ad oggi un assetto democratico. Meglio, è stato insieme uno Stato etnico, per autodifesa e per cultura integralista, e uno Stato democratico. Col passare dei decenni, ma soprattutto nell’ultimo decennio, dall’arrivo al governo di Netanyahu, Israele è andato trasformandosi sempre più in uno Stato prevalentemente etnico, fino alle leggi del 2018 dette dello Stato-Nazione, che di fatto hanno introdotto nella costituzione una sorta di apartheid.
Per parte sua il popolo palestinese subisce dal ‘48 violenze quotidiane e atti prevaricatori, di disconoscimento nei fatti dei suoi diritti umani e civili da parte di Israele, spesso in spregio delle risoluzioni ONU. Ha maturato quindi un senso di ribellione radicale non solo allo Stato di Israele ed ai suoi governi, ma anche al popolo israeliano in quanto tale. Razzismo ricambiato e senso di ribellione che periodicamente si manifestano con atti di terrorismo.
È in questo contesto che Hamas ha ordito prima, poi messo in atto il 7 ottobre.
Netanyahu era in grande difficoltà. Tentava di riformare la giustizia israeliana limitando l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e si era formato un movimento di protesta che cresceva giorno dopo giorno. Ma, di fronte all’attacco di Hamas, la politica israeliana si è compattata. È stato costituito un governo di salute pubblica, di cui fanno parte tutti i partiti presenti nella Knesset, ed è partita la ritorsione. Inevitabile, attesa e ricercata da Hamas, indifferente alla vita del suo popolo.
Netanyahu il giorno dopo la strage e la cattura degli ostaggi ha promesso due cose al suo popolo: la liberazione degli ostaggi e la distruzione di Hamas.
Allo stato, dopo sette mesi, a dispetto delle stragi di civili palestinesi, che hanno indignato anche gli animi più cinici ed isolato lo Stato ebraico dal contesto internazionale, ivi compresi i suoi tradizionali alleati occidentali, nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto. Netanyahu non può perciò fermarsi, solo la liberazione degli ostaggi ad oggi sopravvissuti potrebbe offrirgli una base politica gestibile per accettare una tregua.
Ma Hamas non li libera. Se lo facesse senza prendersi la garanzia di un salvacondotto per i suoi dirigenti e miliziani, il giorno dopo la liberazione dell’ultimo ostaggio subirebbe un attacco devastante e forse definitivamente distruttivo da parte di Israele.
Siamo in un vicolo cieco.
Si dice da più parti che la soluzione sarebbero i due Stati. Certo, sarebbe la soluzione, ma due Stati che si riconoscono reciprocamente ad oggi sono un miraggio.
Nello Statuto di Hamas – ce lo ha ricordato Enzo Palumbo su ‘L’Opinione delle Libertà’ di ieri 7 maggio – c’è scritto: “Punto 18: Sono considerati nulli e non validi: la dichiarazione Balfour, il documento del mandato britannico, la risoluzione delle Nazioni Unite sulla spartizione della Palestina e tutte le risoluzioni e le misure che ne derivano o che sono simili ad esse. Punto 20: Hamas ritiene che nessuna parte della terra di Palestina debba essere compromessa o ceduta, indipendentemente dalle cause, dalle circostanze e dalle pressioni e a prescindere dalla durata dell’occupazione. Hamas rifiuta qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare. Punto 21: Hamas afferma che gli accordi di Oslo e le loro integrazioni contravvengono alle regole del diritto internazionale, in quanto generano impegni che violano i diritti inalienabili del popolo palestinese”.
E gli Accordi di Oslo, è il caso di ricordarlo, furono sottoscritti da Yasser Arafat!
Dunque Hamas ha per ‘obbligo costituzionale’ il dovere di distruggere Israele. È così genocidara la determinazione di Israele di non riconoscere ai suoi confini alcuno Stato che possa dotarsi di tale costituzione?