GIUSTIZIA e le inchieste deformate

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Questo giornale in queste ore ha pubblicato un articolo firmato dal giornalista Antonio Cortese sotto il titolo: “Giustizia, deformazione d’inchiesta … il malsano caso italiano”.

Diciamo subito che più che un articolo lo scritto di Cortese è un vero e proprio editoriale giornalistico che, almeno io, sottoscrivo in pieno ed in ogni suo passaggio perché ha toccato i punti dolenti del nostro sistema giudiziario che è rimasto sempre inquisitorio (leggasi codice Rocco, anni ‘30) nonostante il nuovo c.p.p. dell’89, e che il “finto giornalismo d’inchiesta” non riesce o non vuole correggere in nessuno dei punti cruciali.

Cortese apre il suo editoriale così: “Dalla spettacolarizzazione dei tribunali con Antonio Di Pietro molti giornalisti italiani sono caduti in un miscuglio fatto di gossip, inquisizione e persecuzione. Come sciacalli, anche su Rai Tre ogni giorno si assiste a veri e propri inseguimenti, intrusioni  maligne di sospetto in corridoi, auto e piazze, nello stile modaiolo delle iene di Quentin Tarantino, stile dapprima comico, poi tragicomico ma ad oggi squallido e miserabile”.

Le continue violazioni della sacrosanta privacy vengono ormi spacciate come “insopprimibile ed inarrestabile esigenza investigativa”, quasi come se un giornalista assumesse in se la carica di PM, quella di GIP-GUP e. infine, di giudice supremo della Cassazione.

E, questo Cortese non lo dice, sembrano tutti grandi giornalisti d’inchiesta che vanno spediti verso la verità da inseguire a tutti i costi. Vorrei vedere questi nuovi “satrapi dell’informazione” se non avessero alle loro spalle collegi difensivi (gratis !!) di prima grandezza.

Per quanto mi riguarda sono soltanto “spacconi” istigati dal fatto che difficilmente dovranno mettere mano alla tasca in quanto i gruppi editoriali alle loro spalle costituiscono una sicura garanzia; contrariamente a quei bravissimi giornalisti di minuscole testate giornalistiche locali (semmai edite direttamente) che non potranno mai fare gli spacconi in quanto appena si agitano per qualche inchiesta subito fioccano le querele, senza senso se non addirittura temerarie, che producono spese a volte insostenibili.

E continua Cortese: “I media e i politici ignorano le leggi della comunicazione pubblica dalla 150 fino agli organigrammi delle stanze del Garante. … Non é una questione di censura di stampo vaticano e bigotto o della buon costume già in armi per la prossima stagione balneare, ma la mancanza del buon senso, di un minimo di aut aut, di senso del limite che non sembra ostacolare tali galoppini della disinformazione politica forzata”.

Bravo Antonio, è proprio questo il grave problema della cosiddetta “libertà di stampa” che costringe all’angolo chi non ha avuto la fortuna (o la sfortuna) di essere entrato a far parte del “circuito informativo-giornalistico” più controverso che si conosca tra i vari cosiddetti “Paesi liberi dell’Occidente”.

Nell nostra nazione, purtroppo, il giornalismo non è il “quarto potere” come lo è in tanti altri Paesi, non ultimo gli Stati Uniti d’America; ed è questo che condiziona tutto il mondo dell’informazione decisamente asservito i poteri di turno, come la politica, la magistratura, l’imprenditoria ed anche, perché no, la malavita organizzata per la sua parte più elegante, subdola e senza pistola alla mano.

E, ovviamente, come ciliegina sulla torta c’è sempre in agguato la “forzata disinformazione politica” che cosi Cortese descrive: “Uno speciale della terza rete ma anche emittenti locali senza pudore riprendono gli infami inseguimenti anche a professionisti anziani o più che anziani senza ritegno o ponderazione alcuna, fosse anche di matrice religiosa. E dopo queste scene che oltre a cambiare rete dal telecomando si spera che le procure almeno ricordino loro di farsi i fattacci propri lavorando nelle redazioni o in smartworking magari con qualche gin tonic in più, ma senza impicciare l’anima e la serenità degli italiani”.

 

 

 

 

 

 

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