GIUSTIZIA: l’intervento dell’avv. Salvatore Memoli

 

Aldo Bianchini

Avv. Salvatore Memoli

SALERNO – “La verità fuori dal processo”, è questo il titolo di un articolo di approfondimento sulla giustizia nella nostra Nazione che l’avv. Salvatore Memoli (noto personaggio dell’avvocatura, del giornalismo e della politica della Città) ha scritto, qualche giorno fa, per questo giornale e per “leCronache.it”, diretto da Tommaso D’Angelo.

Ho letto e riletto l’articolo che sottoscrivo in ogni sua parte e sfumatura; Memoli nel suo condivisibile pensiero sullo stato dell’arte della giustizia non fa sconti a nessuno e comincia proprio dal mondo del giornalismo cui Egli stesso da tempo appartiene.

 

In primo luogo perché la nostra società ha maturato il convincimento che stare alla larga da certi ambienti é sempre un guadagno. Però quando lo fanno i giornalisti, c’é da stare male, da pensarci e meditare sulla cosa”; purtroppo ha pienamente ragione Memoli, da noi non esiste un vero giornalismo d’inchiesta perché anche quando ci sarebbero tutte le condizioni per poterlo fare si finisce, inevitabilmente, con l’essere di parte; anzi con l’essere assolutamente di parte (ogni riferimento al caso di Corrado Formigli con la sua “Piazza Pulita” non è casuale) proprio come molti Pubblici Ministeri (PM) che vanno sempre e soltanto alla ricerca delle prove di colpevolezza e non anche (come prevede il nuovo codice di procedura penale del 1989) di innocenza del singolo indagato.

Da qui la convinzione in tutti noi che la “giustizia è malata” (come dice Memoli), stretta com’è in una serie impressionante di regole, lacci e lacciuoli.

In America alcuni processi penali (parlo anche di omicidi) si concludono spesso nel giro di quattro giorni se l’imputato rinuncia alla presenza della giuria popolare; qui da noi sarebbe impensabile perché all’ombra della paura del processo penale si consumano altre strategie difensive basate tutte sul rinvio disperato e disperante che portano alle lungaggini spesso denunciate.

In merito alla paura del processo penale l’avv. Memoli scrive: “Il processo penale fa paura a tutti, forse agli stessi giudici, a coloro che si rendono conto che c’é sempre meno possibilità di fare cose che tutelano il malcapitato nelle mani della giustizia. C’é un meccanicismo giudiziario che avvolge il processo rendendolo strumento di sadici pensieri che fanno soffrire chi vi é sottoposto”; verissimo, il meccanismo giudiziario è davvero infernale; ma questo meccanismo, va detto con forza, l’hanno voluto sia la politica che l’avvocatura quando con coraggio venne scavalcata la magistratura con l’emanazione del cosiddetto “nuovo codice di procedura penale” del 1989 che ha praticamente spostato il nodo centrale dell’inchiesta dall’aula nelle mani dei PM destinandogli enormi poteri investigativi gratuiti, perché solo il PM può avvalersi di tutte le forze dell’ordine per indagare ed al malcapitato indagato è rimasta soltanto la possibilità di “indagini difensive” che i PM non leggono mai.

Da qui la triste realtà degli “avvocati sottomessi all’inquirente ed al giudicante, per quanto bravi e brillanti possano essere” come scrive sempre l’avv. Memoli.

E’ vero che esistono il GIP e il GUP ma è anche vero che molto spesso gli stessi sono letteralmente appiattiti sulle determinazioni del PM; è vero anche che la prova dovrebbe formarsi in aula ma quasi sempre il processo arriva in aula già formato. E soltanto grazie all’insipienza investigativa possono essere ribaltate le famigerate “suggestioni del PM” che di continuo incanalano le indagini preliminari in quella convinzione già precostituita e nota come “inchiesta tunnel” per l’affannosa ricerca degli elementi atti a cristallizzare la propria convinzione. E questa non si chiama giustizia.

Errore gravissimo, quindi, della politica degli anni ’80 che nel tentativo di ribaltare le posizioni di forza tra i vari poteri dello Stato mise nelle mani dei PM un potere assoluto che presto degenerò tracimando nella politica con tangentopoli come spartiacque tra il vecchio processo inquisitorio, quando la prova si formava tra le forze dell’ordine, il pm e l’ufficio istruzione; e il processo accusatorio, quando la prova dovrebbe formarsi in  aula con l’illusione che nel corso delle indagini preliminari ci sia quella parità tra le parti che lo spirito del nuovo codice sostanzialmente alimentava.

Ma il discorso, ovviamente, sarebbe troppo lungo ed io personalmente non sono né avvocato e né giurista per poterlo narrare per intero.

Per chiudere è giusto trattare la parte più significativa che ogni processo dovrebbe avere, cioè la verità (che Memoli colloca giustamente fuori dal processo) da raggiungere attraverso il dibattimento.

La verità, purtroppo, è sempre fuori dal processo (anche nel caso di reo confesso) perché, come diceva il compianto magistrato istruttore e giurista Lino Ceccarelli, ci sono sempre almeno tre verità: quella che viene fuori dal processo, quella raccontata dall’imputato, e quella vera che resta sempre sepolta nell’animo di chi è sottoposto alla gogna dell’estenuante processo penale.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *