di Cesare Guarini* e Alfonso Malangone**
La vigorosa protesta del prof. Aniello Salzano contro la demolizione del fabbricato di Mariconda, già sede della pizzeria “Carminuccio”, locale ancora nella mente e nel cuore dei salernitani degli ‘anta’, non può restare isolata. E, questo, non tanto perché sia apprezzata la sua indiscussa sensibilità di uomo di grande cultura, ma perché quella struttura era davvero vincolata e, quindi, tutelata dalla Legge dello Stato.
Infatti, con nota di trascrizione n. 54429/34290 del 09/11/2007, su richiesta della locale Soprintendenza e per conto del Ministero della Cultura, che allora si chiamava “Per i Beni e le Attività Culturali”, fu apposto il Vincolo Culturale sugli immobili in Catasto Fabbricati al foglio 39, part. 20, e in Catasto Terreni al foglio 39, partt. 21 e 25. C’è da pensare che in quei beni, di proprietà privata, fossero presenti i “requisiti artistici, storici, archeologici o etnoantropologici”, eccezionali o di particolare importanza, che il Codice dei Beni Culturali richiede per la concessione della tutela (fonte: Dlgs 22/01/2004 n. 42, art. 10 c. 3). Peraltro, lo stesso Prof. Salzano ha dichiarato di aver svolto nei primi anni 2000 una forte azione a difesa delle dimore di campagna di Sant’Eustachio. Fuorni e San Leonardo, in collaborazione con l’ing. Felice Bottiglieri, e di aver ottenuto l’approvazione di un conseguente atto amministrativo da parte del Consiglio Comunale. Evidentemente, il provvedimento venne inoltrato al Ministero e positivamente accolto. E, questo, è un primo fatto.
L’imposizione su un bene immobile del Vincolo Culturale produce effetti sia sotto l’aspetto della sua commerciabilità che sotto quello edilizio. In verità, con riferimento al primo punto, i problemi non sono complessi. La Legge dispone solo che l’eventuale cessione a terzi sia sottoposta alla preliminare verifica della volontà del Ministero di volerlo acquisire, a parità di condizioni, per un prevalente interesse pubblico (fonte: cit., artt. 59-60). Poi, nel caso di mancato esercizio del cosiddetto “diritto di prelazione”, il trasferimento diviene definitivo. Questo, però, non determina la cancellazione del vincolo, che segue il bene ed è opponibile al nuovo proprietario. Nel caso in questione, sembra che nel 2021 la richiesta avanzata dal notaio rogante, in occasione del primo trasferimento in favore di una società, sia addirittura rimasta priva di riscontro da parte della Soprintendenza e che, per il silenzio, quella cessione sia poi divenuta efficace. Altri passaggi sarebbero intervenuti successivamente. Ma, con modalità di cui nulla si sa. E, siamo al secondo fatto.
Ai fini edilizi, premesso che la tutela dei beni artistici e storici è di rango Costituzionale (fonte: Cost., art. 9), il Vincolo Culturale stabilisce che i beni ubicati in zona di categoria A, Centro Storico, e “in ambiti di particolare pregio storico e architettonico”, non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il carattere storico/artistico, né essere sottoposti a lavori in assenza dell’autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza (fonte: cit., art. 20 c. 1, art. 21 c. 1). Inoltre, “gli interventi di demolizione e ricostruzione … costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria” (fonte: DPR 06/06/2001 n. 380, art. 3/d). Così, l’intervento edilizio sulla struttura avrebbe dovuto rispettare questa disposizione nell’ambito delle ulteriori previsioni dello strumento urbanistico Comunale. E, qui entra in gioco il PUC vigente. La palazzina è riportata nella zona omogenea B, a destinazione residenziale, ed è compresa nella Tavola di Progetto P3.09, contornata in viola, ma posta all’esterno dell’area di trasformazione, colorata in rosa (fonte: PUC). Il fabbricato nel quale “Carminuccio” deliziava i buongustai, si vede in basso, a sinistra, a margine della strada. Proprio per questa posizione progettuale, sulla struttura sarebbero state possibili solo opere di ristrutturazione nel rispetto delle dimensioni e delle caratteristiche storiche, salvo errore. E, siamo al terzo fatto.
A questo punto, si potrebbero tirare le somme. Tuttavia, la complessità della materia consiglia ai poco esperti, se non inesperti del tutto, di astenersi da ogni giudizio. Anche perché gli ultimi aggiornamenti riservano una sorpresa davvero ‘sorprendente’. Secondo le informazioni dei media, sui ruderi della costruzione dovrebbe essere realizzato un nuovo edificio di lusso, denominato “Arbostella Luxury Apartment” (cit.), con solo tre appartamenti di 56 – 67 e 131 mq. (fonte: diverse-web). Però, quasi contemporaneamente, su una pagina facebook di libero accesso è apparsa la pubblicità di un fabbricato che sembra posizionato sulla stessa area, secondo le immagini postate di ‘come era prima’ e di ‘come sarà dopo‘. Nel ‘rendering’ si vede un edificio di sette piani, oltre il terraneo, denominato “Le case di Mary” (cit.), che dovrebbe essere consegnato entro la fine del 2024. In sostanza, sulla stessa area vincolata sarebbero state autorizzate due lussuose ipotesi edilizie. Ora, se è indubbio che qualsiasi spiegazione spetti ‘a chi sa’, è altresì indubbio che, in assenza di informazioni, spetti ai cittadini il diritto di fare domande ‘per sapere’ la verità da chi quella verità certamente conosce.
E, quindi, Gentile Soprintendente, Archeologa Bonaudo, per favore: 1 – “possibile che nel 2021 non sia stata fornita alcuna risposta alla richiesta di esercizio della prelazione”? 2 – “se si sapeva che in quell’area c’erano resti sepolti, già scoperti, perché non sono stati fatti almeno dei saggi”? 3 – per quel vincolo, l’immobile demolito non dovrebbe essere ricostruito nel rispetto delle caratteristiche pre-esistenti”? Sono domande in buona fede, formulate con grande rispetto per la Sua competenza specifica e con riserva di ogni errore.
E, poi, Egregio Sindaco, Architetto Napoli, per favore: 1 – “nella Tavola P3.09, il fabbricato vincolato è posto all’esterno dell’area di trasformazione”? 2 – “se così fosse, il permesso di costruire non avrebbe dovuto rispettare dimensioni e volumetrie precedenti”? 3 – “quali e quanti progetti sono stati autorizzati”? Anche queste sono domande in buona fede, formulate con grande rispetto del Suo ruolo e con riserva di ogni errore.
Il Prof. Salzano, nel suo insolitamente duro intervento, ha dichiarato di “aver sempre ritenuto…(che la casa baronale)…si dovesse solo…ristrutturare, abbattendo le superfetazioni…, mai buttarla giù” per non distruggere la storia rurale di quella parte del territorio. Ha rilevato che, con la decrescita demografica inarrestabile, “lo sviluppo non si realizza alzando inutili grattacieli”. Ma, ha soprattutto auspicato che chi ha frequentato le aule nelle quali sono trasmessi insegnamenti in grado di alimentare sentimenti ed emozioni ai massimi livelli, possa comprendere fino in fondo l’importanza di avere a cuore la dignità storico/culturale della Città. Un pensiero che merita più di una semplice condivisione. Molto, molto di più.
* Futura Salerno
** Ali per la Città