da Dr Alberto Di Muria
Padula-La metà dei pediatri italiani tratta meno del 20% dei bambini con i farmaci generici equivalenti, mentre solo il 13,5% li utilizza su più del 50% dei propri pazienti.
Questa prudenza dei pediatri nell’utilizzo dei generici è generata in particolare dalla questione del dosaggio. Nei farmaci equivalenti la legge consente uno scostamento nella concentrazione di principio attivo sino al 20% rispetto al farmaco di marca. Una variabilità poco significativa nell’adulto, ma che nel bambino può essere causa da un lato di sovradosaggio o dall’altro di inefficacia della terapia.
Al problema della “bioequivalenza” si aggiunge anche, secondo i pediatri, quello degli edulcoranti e degli additivi, ovvero quelle sostanze senza azione farmacologica che si aggiungono al principio attivo e servono a garantire la stabilità e la conservazione del farmaco. Nel generico questi ingredienti possono essere diversi rispetto a quelli utilizzati nel farmaco di marca e si tratta di sostanze che possono dare luogo a reazioni orticarioidi, talvolta erroneamente imputate al principio attivo.
Il grosso problema della farmacologia pediatrica, però, rimane ancora quello della carenza di farmaci testati su soggetti pediatrici. Una carenza storica derivante da un lato da motivi etici circa l’effettuazione di sperimentazioni sui bambini, dall’altro dallo scarso interesse da parte dell’industria ad effettuare costosi test per farmaci che interessano una fascia di mercato relativamente piccola come quella pediatrica.
La somministrazione dei farmaci alla popolazione pediatrica si è sempre basata sui dati di sicurezza e tollerabilità estrapolati dagli studi realizzati sulla popolazione adulta, mentre sappiamo che il bambino non può essere considerato semplicemente un “piccolo adulto” dal momento che esso è un organismo in crescita e che i processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione delle molecole farmacologiche possono essere diversi rispetto ai medesimi processi nell’adulto.