Tangentopoli (96): 19 novembre 93 – Galdi e la proposta indecente

 

Aldo Bianchini

Il compianto ing. Raffaele Galdi (dec. 29.08.1998)

SALERNO – La puntata di oggi non tratterà i soliti temi giudiziari che caratterizzarono quell’autunno del 1993 in cui furono registrati episodi giudiziari ma anche politici di grande spessore e tali da indirizzare lo sviluppo della città di Salerno per i decenni successivi. Mi accingo a raccontare un piccolo particolare accaduto la mattina del 19 novembre 93 (venerdì) per le strade di Salerno.

Dunque, mentre la città si preparava all’attesa consultazione amministrativa del 21 novembre 1993 preparate dal commissario ministeriale Mario Laurino (in carica dal 13 novembre al 6 dicembre 93), mentre sul versante tangentopoli andava in scena da alcune settimane il processo “Fondovalle Calore”.

Nelle puntate precedenti ho riferito dell’arresto in Tribunale dell’ing. Raffaele Galdi (uno dei cosiddetti “due compassi d’oro”, due perché con Galdi c’era sempre Amatucci, entrambi legatissimi al ministro Carmelo Conte) avvenuto clamorosamente la mattina del 29 ottobre 93 (venerdì) mentre stava per concludersi un’udienza del processo sopra indicato.

Ho scritto anche che la mattina del 5 novembre 93, venerdì, Galdi seppure in carcere a Fuorni non volle rinunciare ad essere presente in udienza e rischiò di essere tradotto in aula con gli schiavettoni ai polsi; fortunatamente il presidente del collegio giudicante Giovanni Pentagallo usci nel corridoio del tribunale ed ordinò alle guardie di liberare i polsi dell’imputato. Fu così che Salerno evitò il ripetersi dello scandalo Carra (plenipotenziario di Arnaldo Forlani – D.C.) era stato accompagnato in aula a Milano con gli schiavettoni ben serrati.

In considerazione della nullità dell’accusa mossagli dall’allora pm Michelangelo Russo (la vicenda dell’appalto per la riattazione del seminario) l’ing. Galdi era stato scarcerato il 9 novembre 93 e posto, però, agli arresti domiciliari; da dove ad ogni udienza veniva prelevato dai Carabinieri e portato in tribunale.

La mattina del 19 novembre 93 (sempre di venerdì) avevo svolto alcune incombenze nei pressi Mercatello; subito dopo, intorno alle ore 9.30, mi rimisi in macchina per raggiungere il tribunale al Corso Garibaldi. Giunto all’altezza del McDonald’s notai che alcune autovetture erano ferme in quanto qualche metro più avanti due autovetture (una mercedes ed peugeot) si erano scontrate; tra gli automobilisti scesi dalle loro auto notai la presenza dell’ingegnere Galdi indaffarato a discutere con un altro automobilista. Scesi a mia volta dall’auto e mi avvicinai; chiesi cosa fosse successo. Non nascondo che ero meravigliato della presenza in strada di Galdi, lo sapevo i domiciliari e questo mal si conciliava con la sua presenza in strada dovendo già essere in tribunale.

Mi disse rapidamente che aveva avuto un incidente; gli consigliai di scambiare i dati personali con l’altro automobilista mettendomi a sua disposizione per accompagnarlo nel palazzo di giustizia.

Dopo qualche minuto salì sulla mia auto e partimmo alla volta del tribunale; per strada mi disse che all’ora convenuta dai Carabinieri era stato raggiunto da una telefonata proveniente dalla cancelleria penale del tribunale e che era stato informato che a causa dell’indisponibilità dei Carabinieri doveva raggiungere l’aula di udienza con un suo mezzo di trasporto.

Occasione irripetibile che non credo capiti spesso ad un giornalista: un imputato di vaglia in stato di arresto che viaggia in auto con un giornalista che segue, più di ogni altro, il processo in cui doveva essere giudicato.

Parlammo di tante cose mentre per l’intenso traffico mi spostavo lentamente verso il tribunale; Passai senza fermarmi davanti all’ingresso di Corso Garibaldi; Galdi manifestò subito tutto il suo stupore: “Direttore Bianchini ma dove state andando, io sono atteso in tribunale e non voglio rischiare ulteriori provvedimenti restrittivi della mia già limitata libertà”.

Il lato del palazzo di giustizia di Salerno che si affaccia su Corso Garibaldi

Non mi fermai, continuai a guidare lungo Via Roma fino all’altezza del Teatro Verdi; mi fermai davanti alla scuola Barra e lanciai la mia proposta indecente: “Caro ingegnere, in questo momento siete giustificato per via dell’incidente; il presidente Pentagallo non può valutare il tempo che avete impiegato per risolvere il problema. Perché non andiamo in tv (la sede di TV Oggi allora a Torrione), vi faccio una lunga intervista e voi mi raccontate la vera storia della Fondovalle Calore a 360°, poi vi consegno la videocassetta che mi restituirete nel momento in cui avrete deciso di farla mettere in onda prima della data fissata per la sentenza che vi riguarda”.

Rividi lo sguardo glaciale che avevo incrociato la mattina del 5 novembre precedente quando in manette camminava per i corridoi del tribunale; passarono interminabili secondi poi lapidario e con autorevolezza mi disse: “Sentite, io ho rischiato già tantissimo per coprire più di una persona, ho fatto già cinque mesi di carcere, sono stato nuovamente arrestato qualche settimana fa per una vicenda assolutamente inesistente e sono tuttora di domiciliari. La stessa proposta, o quasi, me l’hanno già fatta i giudici dopo l’arresto del 23 luglio 1992 per raccontare la verità che a loro faceva comodo. Io sono stato, sono e sarò un uomo fino in fondo; da me la verità non la saprà mai nessuno. Posso solo dirvi che non corrisponde lla verità che si vuole far emergere dal processo. Adesso accompagnatemi in tribunale; un giorno ne riparleremo a bocce ferme”.

Lo lasciai sul Corso Garibaldi in corrispondenza dell’ingresso principale del tribunale e andai a trovare un posto per la macchina.

Quando giunsi in aula notai che in molti (dal giudice Pentagallo agli avvocati difensori) mi guardavano con insistenza; era accaduto che Galdi arrivato in aula aveva raccontato dell’incidente e del passaggio che gli avevo offerto; naturalmente aveva taciuto della mia proposta indecente. I difensori di Galdi mi dissero che il presidente Pentagallo visto che Galdi non si presentava in aula aveva interrotto l’udienza per reclamare l’intervento dei Carabinieri; in tanti avevano pensato ad una fuga dell’ingegnere.

Lo storia si concluse con la mia conferma informale della dichiarazione di Galdi.

Negli anni successivi ritornai spesso sull’argomento, ma Raffaele Galdi rimandò sempre; ma un giorno mi consegnò un suo memoriale autografo che conservo ancora gelosamente e che prima o poi provvederò a pubblicare.

 

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