La guerra è un grande business.

 

 

da Salvatore Memoli

(avvocato – scrittore – giornalista)

 

Avv. Salvatore Memoli

Queste guerre che vengono accese sul nostro pianeta hanno un comune denominatore. Sono manifestazioni dell’insoddisfacente politica e del fallimento della diplomazia. Hanno altresì un filo che le tiene unite che si riferisce a chi fabbrica e vende le armi e la prevalenza di sentimenti egoistici e divisivi. Sono diversi anni che i bilanci degli Stati democratici sono sollecitati da aumenti di percentuali di spese militari. Come serpentoni idealmente guidati da una sola volontà, gli Stati incrementano le loro presenze militari contro comuni obiettivi. La paura del terrorismo è solo un’appendice dell’ interventismo che mobilita tante potenze ad unirsi e dividersi a seconda delle posizioni ideologiche e politiche che garantiscono le presenze militari nelle aree critiche. Gli scenari dei conflitti si sono via via schiariti e si polarizzano su un dato militare che risponde alle opzioni politiche. l’Italia è tra questi Paesi che hanno deciso di inviare uomini e mezzi militari in giro per il mondo per presidiare le zone esposte a conflitti attivi o per contrastare azioni belliche e terroristiche potenziali. L’Italia Cristiana ha industrie di armi che vende in giro per il mondo, soprattutto ai ricchi Paesi arabi. Tutti i Governi italiani non hanno risparmiato azioni concrete di finanziamento e d’incremento delle presenze militari, senza mai dare conto delle spese globali e delle percentuali effettive d’investimento nel settore della morte. Non si hanno notizie chiare sul costo giornaliero singolo per il mantenimento di contingenti all’estero e di quanto costa ogni militare (sembrano tutti volontari!), rapportato alla permanenza della missione militare che quasi sempre è sorretta da sapienti strategie che garantiscono principalmente e prevalentemente lo svolgimento di attività logistiche. Le azioni di guerra sono circoscritte e controllate, qualche volta espongono il personale a gravi rischi per la vita. Servono veramente tutte le missioni all’estero? Quale incidenza di spesa hanno sul PIL del nostro Paese? Vorrei essere in sintonia con chi sostiene la bontà delle missioni estere se qualcuno spiegasse agli italiani che cosa ci guadagna l’Italia. Per decenni spendiamo miliardi di spesa per la difesa mentre le guerre promosse da altri sorgono quasi all’improvviso, come le ultime in Ucraina e Gaza, e con motivazioni apparentemente diverse che riaccendono un odio etnico e lacerano qualsiasi tentativo di costruzione della pace. Il fatto è che la guerra fredda non si è mai sopita e che si mantiene viva come una fiammella capace di accendere grandi conflitti mondiali, in qualsiasi momento.

Dietro le divisioni ci sono egoismi non di bambini insoddisfatti bensì di uomini potenti divisivi che sono mossi da obiettivi con natura economica.

Sono convinto che i due più grandi conflitti che generano ansia e frustrazioni, quello tra Ucraina e Russia nonché quello in Gaza e Israele sono l’epilogo di un germe mortale che mette gli uomini uno contro l’altro. Sono conflitti politici che lacerano

il mondo e mettono allo scoperto la vulnerabilità delle azioni preventive. Le lacerazioni sono evidenti anche tra i potenti del mondo e le volontà dei popoli. I Potenti sembrano non raccogliere la trasversalità della volontà di un mondo di pace da parte di tutti i Popoli. Le guerre sono ipocrite, muore la gente, soprattutto bambini, senza che nessuno si faccia carico di portare sui tavoli delle trattative l’urgenza del cessate il fuoco, anzi i contendenti si mostrano attorno agli stessi tavoli, sorridenti e dialoganti come se esistesse una netta cesura tra guerre, morti e volontà di un accordo di pace stabile. Le guerre con i loro risultati mortali sono di portata mondiale. Ora non parliamo più di focolai, parliamo di un solo teatro di morte. Spesso i potenti mi sembrano rappresentanti del potere della morte che trova il suo archetipo nelle industrie di armi. Più dura il conflitto, più cresce il profitto di venditori di armi, piegando le ragioni della pace alle convenienze di guadagni dalle cifre miliardarie. Fuori da questo quadro scellerato, nessuno capisce contro chi combatte e perchè!

La guerra cerca motivazioni anche futili sul piano storico perché legittimino i conflitti, intrisi di odio.

Ora la corsa agli armamenti mette in pericolo la sopravvivenza dello stesso mondo. Intervenire, fermare le armi, correggere la cultura della morte è un obbligo di ogni essere umano se si vuole evitare l’ecatombe. Invece è come se il mondo avesse perso la sua bussola e si fosse lanciato nell’avventura della morte collettiva.

Non bastano le Nazioni Unite, non basta la voce autorevole del Papa, non bastano gli appelli umanitari…occorre ricostruire un tessuto umanitario credibile, forte di idealità sane che credono nel futuro e che mettano un freno alla produzione di tutti i tipi di armi.

Non esistono più guerre o conflitti che interessano due parti limitate dell’umanità. Oggi l’umanità nella sua interezza è in pericolo. Muoiono migliaia di bambini tra l’indifferenza di tutti. Questi sono crimini che gridano vendetta difronte alla storia. Ma la storia non ha più la sua forza dirimente, continuando così corre verso la catastrofe umanitaria.

Alla fine, quello che molti non capiranno sarà che vincitori e vinti avranno gli stessi popoli impegnati con i loro ruoli diversi che saranno difficilmente distinguibili: se costruiscono le armi oppure cadono in guerra. Il profitto dell’industria bellica sarà il vincitore dannato di tutte le guerre!

La vera guerra per tutti sarà combattere per ristabilire un nuovo ordine morale che dovrà presidiare la libertà dell’umanità, smascherando i trafficanti di morte.

 

 

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