Aldo Bianchini
SALERNO – Fin dalla fine degli anni ’50 ho seguito l’evolversi della “cultura di igiene e sicurezza” nei luoghi di lavoro; una materia che mi è sempre piaciuta e che mi piacque ancor di più da quando nel 1964 vinsi un concorso pubblico ed entrai all’Inail (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) dove per ben 38 anni ho svolto il ruolo di “ispettore di vigilanza sugli infortuni del lavoro”.
Parlo e scrivo, dunque, come addetto ai lavori e non come semplice giornalista intento a porre le stesse domande retoriche per tutta la vita professionale e per tutti i casi trattati. Purtroppo, oggi, c’è una diffusa cultura della tuttologia che porta a parlare e scrivere anche di cose che non si conoscono; leggo narrazioni a dir poco fantasiose e/o interviste assurde sulle cause e circostanze degli infortuni; ascolto e vedo dibattiti radiofonici e televisivi di gente che semmai non è mai stata su un cantiere di lavoro, così come mi rendo conto che finanche i componenti dei vari organismi di sicurezza e ordine pubblico, incardinati presso le varie Prefetture, spesso parlano per sentito dire.
Con questo spirito mi sono accinto a leggere ed analizzare l’intervista concessa dall’on. avv. Andrea Annunziata (presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale) al quotidiano Il Mattino dopo l’ennesima tragedia nel porto di Salerno che ha visto la morte del 29enne Nino Donato, in servizio come ufficiale sulla Cartour Delta e ucciso sulla banchina da una macchina operatrice che procedeva a marcia indietro.
Ebbene affermo subito che l’intervista mi è piaciuta non poco; non per come è stata impostata ma per le risposte date (la cui essenza non è stata colta dal giornale) che sono andate ben oltre le domande retoriche e che aprono spazi siderali per varie considerazioni e innumerevoli dibattiti; addirittura in alcuni casi il presidente Annunziata ha posto la sua attenzione su specifici momenti che influiscono direttamente sul determinismo degli infortuni. E lo ha fatto, Annunziata, con il piglio di un uomo (prima ancora che politico e presidente navigato) pragmatico che prima di aprire bocca ragiona e riflette a lungo su quello che deve dire.
Ed ha messo, il presidente, l’accento su un particolare che tutti fanno finta di non conoscere: la componente di distrazione del lavoratore e la sua indisponibilità all’utilizzo, sempre e comunque, dei presidi di sicurezza personali che vanno ben oltre i sistemi di sicurezza generali e dei protocolli che spesso restano sulla carta. Capisco che la distrazione del lavoratore è uno degli argomenti più sensibili e poco praticati per ragioni di opportunità politica, imprenditoriale e sindacale; perché tocca la sfera umana e personale del lavoratore che è rimasto ferito o addirittura è morto.
Nel corso della mia lunga attività lavorativa nel settore non ho mai avuto a che fare con un infortunio sul lavoro verificatosi per l’ineluttabilità del rischio generico presente in ogni cantiere; per ogni infortunio ho sempre riscontrato come concausa determinante la distrazione del lavoratore che muta per fasce di età e di accumulata esperienza. Eppure ho analizzato circa diecimila casi infortunistici con oltre cinquecento casi di cosiddetta “morte bianca” sul lavoro.
Ma devo altresì dichiarare che fin dagli anni ’50 ho sempre letto, sentito e visto le stesse reazioni istituzionali: gli scioperi ridicoli dei sindacati e la difesa ad oltranza degli stessi lavoratori anche quando non utilizzano i presidi personali di sicurezza, le parole roboanti dei politici e i silenzi prolungati di chi potrebbe e dovrebbe agire e non lo fa. Ma di tutto questo avremo, se necessario, occasione di parlarne nell’immediato futuro. Avevamo un regale DPR del 1955 che trattava tutta la materia infortunistica; ma a causa dei sindacati e di molti magistrati (tutti pro lavoratori … e basta) l’avevamo accantonato in uno dei tanti cassetti ministeriali, almeno fino a quando l’Europa, copiandolo, ci ha inviato le famose dodici direttive nel 1994. Ed abbiamo scoperto l’acqua calda.
Spesso, in passato, mi sono intrattenuto con il presidente Annunziata sulla problematica, complessa e difficile, dell’igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro; oggi, dopo aver letto la sua intervista, capisco che non tutto quello che ci siamo detti è caduto nel vuoto.
Dalla sua intervista manca però un particolare importante: la comunicazione; intesa come strumento di formazione culturale e propalazione del problema e non soltanto come un semplice e inutile comunicato stampa.