Aldo Bianchini
SALERNO – Non c’è modo di farlo capire che “la comunicazione“, in senso alto, è una delle cose più difficili da praticare, anche se sembra una cosa facilissima con la quale si trastullano alcuni miliardi di abitanti di questo pianeta a causa dei social che danno (forse anche giustamente !!) a tutti la possibilità di esibirsi come novelli ma già provetti giornalisti.
La comunicazione è tutta un’altra cosa, non è giornalismo, non è la laurea in scienze della comunicazione, non è dirigere anche benissimo una grande azienda così come un rispettabile istituto previdenziale. Niente di tutto questo, la comunicazione è innanzitutto quel quid innato nei soggetti che poi riescono ad ottenere effetti notevoli penetrando l’immaginario collettivo aia fini del successo del messaggio che si vuol far passare.
Questo ovviamente vale per tutte le professioni; c’è il medico-medico e il medico di mestiere che compilerà sempre e soltanto ricette, c’è l’architetto-architetto e l’architetto di mestiere che insegnerà in qualche sconosciuta scuola media o superiore del Paese, così come c’è il dirigente-dirigente e il dirigente di carriera incartapecorito dietro un scrivania che, verosimilmente, sa tutto del suo mestiere ma gli manca quel quid di cui prima per essere anche un comunicatore. Pur tuttavia sono proprio questi medici, architetti, dirigenti, ecc. che, per ragioni legate al loro ruolo, si atteggiano anche a comunicatori e combinano disastri.
Solo per fare un esempio è giusto citare l’artista Adriano Celentano, forte di una quinta elementare conquistata a fatica, che quando apre bocca per parlare e/o cantare riesce a comunicare in maniera straordinaria coinvolgendo milioni e milioni di persone facendo addirittura politica al di là della politica.
Bisognerebbe partire da questo esempio per capire che la comunicazione non è per tutti e che nel mondo c’è davvero poca gente in grado di comunicare; ed è soltanto a loro che bisognerebbe riservare il privilegio di comunicare messaggi importanti che possono tramortire, se usati male, intere popolazioni.
Purtroppo è accaduto, e non è la prima volta, all’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) che a causa di un messaggio (oggi detto “SMS”) sbagliato sono andati in tilt centinaia di migliaia di cittadini che non hanno capito più nulla della fine del proprio reddito di cittadinanza; e poco ci è mancato che in alcune località specifiche del Paese scoppiasse una vera e propria rivoluzione.
E’ vero, è arrivata dall’Inps una parziale ammissione di responsabilità relativamente alle modalità di comunicazione; il neocommissario straordinario dell’istituto Micaela Gelera ha riconosciuto che il messaggio inviato via sms o email ai percettori di reddito, per informarli della sospensione, avrebbe dovuto essere più accurato nei contenuti e nella forma.
Ma questo non basta; la pubblica amministrazione si salva soltanto se elimina queste distorsioni alle radici; distorsioni che quando riguardano la comunicazione non dovrebbero mai più essere vincolate al grado gerarchico ma all’effettiva singola capacità di comunicare.
Dall’INPS ci si aspetterebbe, oggi, una rapida presa di posizione eliminando da quel posto ad alta sensibilità politica e sociale chi non è capace di comunicare.
Ma come sempre se il problema è alle radici, la causa si annida nei vertici; e qui la storia diventa nebulosa e difficile da combattere.