LAVORO: la Calderone e la fragilità di un ministero

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Possiamo già dire che è passato quasi un anno dal suo insediamento a “Palazzo Marco Biagi” (attuale sede del ministero del lavoro e delle politiche sociali) e tutto quello che in tantissimi si spettavano dal ministro tecnico “Marina Elvira Calderone” non si è realizzato, o quanto meno alle tante promesse sono seguiti pochissimi fatti, meglio sarebbe dire fatterelli.

Ho già scritto che il ministero del lavoro è uno dei tre-quattro ministeri chiave per la ripresa e l’economia della nostra Nazione; lo dimostra il fatto che quello del lavoro è stato dal dopo guerra ad oggi uno dei dicasteri che ha avuto più ministri e, tranne rarissimi casi, tutti hanno fallito o almeno non hanno sputo o potuto tramutare in certezze tutte le promesse fatte.

La stessa cosa sta accadendo per la ministra molto tecnica Marina Elvira Calderone ? (molto nota perchè da alcuni anni è presidente dell’ordine nazionale dei consulenti del lavoro e che per questo è anche molto nota a Salerno) che dopo le prime sparate iniziali sembra essersi incartata in un ruolo abbastanza distante dalla non difficile difesa di un ordine professionale che del lavoro è uno dei principali e fondanti punti di riferimento.

La risposta non è facile, e l’opinione in generale è per il momento ancora divisa quasi in due, con propensione verso il fallimento della missione affidatale dalla presidente Meloni.

Stando al quotidiano “il Mattino di Puglia e Basilicata” la Calderone è già fuori; ed il fatto lo sottolinea con un dirompente titolo a tutta prima pagine nell’edizione del 1° agosto 23: “Reddito, Calderone dice: dovete annà a lavorà”.

Troppo forte il titolo, questo è certo; ma un ministro del lavoro che proviene direttamente dal mondo del lavoro con una navigazione di lungo corso che dice queste cose credo che qualche critica la meriti pienamente.

Ma la cosa più stolta che un ministro del lavoro possa dire è quella di “rivolgersi ai centri per l’impiego”; una presa per i fondelli, quasi come se non sapesse che dopo la sciagurata demolizione degli “uffici di collocamento” nessun altro apparato ha mai più garantito quel minimo di decoro che, invece, assicurava il tradizionale collocamento con tutte le sue storture.

Si, per carità il mondo è cambiato ed è più alla moda chiamarli “centri per l’impiego”, ma per quanto mi riguarda il collocamento di una volta funzionava benissimo rispetto ai centri, anche se in alcuni casi denotavano più un assetto padronale che pubblico.

Ha promesso, è vero, la ministra occupazione per ben 159mila nuclei familiari (quasi un editto) ed anche largo spazio per 112mila in attività stagionali per gli ex percettori di RDC; non è male, un esercito di ben 271mila lavoratori che stando alle promesse potrebbero essere immessi sul mercato del lavoro.

Io non so come andrà a finire, mi auguro positivamente per chi cerca davvero lavoro; ma stando alle numerose precedenti promesse di lavoro (dal 47 ad oggi), calcolate in circa 1 miliardo di posti temporanei e fissi, dovremmo poter occupare anche i neonati. Considerazione amara che rispecchia, però, la realtà.

Ed infine (per il momento) l’uscita della ministra per quanto attiene l’incentivazione dei “corsi di formazione” per avere diritto a quell’indennità mensile per ancora un anno al posto del RDC; per commentare questa uscita non ho bisogno di riprendere gli spunti da altri giornali; i corsi di formazione sono stati e sono, su tutto il territorio nazionale, la vergogna assoluta che evidenzia la nostra grande abilità di dissipare il denaro pubblico in mille rivoli diversi senza il minimo risultato concreto.

Insomma, la Calderone è avvisata: non è sufficiente affermare, come ha fatto ieri, in Commissione Lavoro al Sento che il RDC è stata una misura del tutto negativa.

 

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