da Alfonso Malangone
(Ali per la Città)
SALERNO – Le cose che accadono nella vita, non sono mai fini a sé stesse. Tutte, più o meno prevedibili, più o meno comprensibili, trasmettono un messaggio da interpretare o forniscono un insegnamento da seguire.
Un terremoto, o l’esondazione di un fiume, non sono calamità in un’area deserta. Sono fonti di tragedie quando decidiamo stupidamente di dominare la Natura, in qualità di suoi ospiti, pure a tempo determinato, infrangendo regole universali con costruzioni realizzate su un vulcano, su un pendio franoso o nell’alveo di un torrente. Solo approfondendo i motivi dei ricorrenti disastri, possiamo comprendere le lezioni impartite da eventi avversi e capire che essi non sono frutto di un crudele destino, come talora viene sostenuto forse per ‘lavarsi la coscienza’ di fronte a responsabilità ben precise. E, ancora, che le povere vittime non ne sono una ‘naturale’ conseguenza. In realtà, è opportuno parlare di ‘sacrificio’ quando la perdita di una vita, per la fiducia in un costruttore, un Amministratore o nelle parole di chiunque altro, consente di salvarne altre per aver segnalato un errore, un pericolo, una furfanteria. Il loro ricordo deve essere particolarmente caro a qualsiasi Comunità.
La sera del 25 Maggio scorso, nel Teatro Augusteo, è stato commemorato il terribile evento del treno 1681 del 24/05/1999. Una manifestazione dolorosa che ha riportato alla mente di chi c’era, ventiquattro anni fa, emozioni mai cancellate ma, forse, colpevolmente sopite. Un cortometraggio ha ricostruito i momenti più tragici di quel viaggio e narrato il clima di violenza che, al grido insensato di ‘vincere o morire’, aveva trasformato un evento sportivo in una sfida alla vita. Tutti i viaggiatori furono travolti da una ventata di follia che fece di quel maledetto convoglio un contenitore di comportamenti ‘malati’, un luogo di incredibili devastazioni fisiche e morali sotto la spinta di una rabbia irrefrenabile e di sconsiderati desideri di rivincita.
Di quel terribile evento, in Città, si è sempre parlato quasi a fatica, come a voler dimenticare. Forse perché le responsabilità furono di molti e forse perché molti altri mancarono di impegnarsi per evitare ciò che si poteva davvero evitare. Un ‘lavaggio delle coscienze’ ha consentito di attribuire la perdita di Simone, Enzo, Ciro e Giuseppe, ad un destino avverso e sbagliato. In verità, in quel treno, tutto era sbagliato e loro non furono le vittime di una negativa congiunzione astrale. Loro ‘sacrificarono’ le giovani vite per denunciare gli errori dei molti che avevano diffuso nello sport la violenza della propria mediocrità e per dimostrare a tanti altri giovani, come loro, che le inquietudini della loro età possono essere vissute con modalità ben diverse. Purtroppo, sembra sia stato un sacrificio vano perché, a distanza di 24 anni, le loro ‘voci’ appaiono davvero inascoltate. Episodi di grande tristezza tuttora infiammano gli animi, trasformando contrapposizioni ‘sportive’ in discussioni intrise di cieca passione. Ma, lo sport è amore, non passione. Peraltro, proprio nei giorni di quella manifestazione, in occasione della gara contro la Capolista, un intreccio incredibile di critiche, offese e biasimi ha intasato i mezzi di comunicazione. Perfino cittadini rispettabili hanno dimostrato un sorprendente livello di coinvolgimento contrastando tutti i possibili ‘nemici’ con durezza e violenza verbale a difesa di una dignità sportiva che meriterebbe di essere tutelata con ben diverse modalità. Per non dire delle pagelle di ‘buoni’ e ‘cattivi’, volte solo a discriminare, selezionare, premiare e denigrare. Comunque, a fomentare, Cioè: “cosa è cambiato dopo 24 anni”? Chi lo sa, per favore, dia la risposta.
Tra qualche giorno, la Squadra andrà in ritiro a Rivisondoli, cittadina ‘bomboniera’ dotata di impianti sportivi che noi possiamo solo sognare, qui. Si è letto, che la permanenza sarà ridotta di una settimana per evitare incontri ‘pericolosi’ con i tifosi della Campione d’Italia che sarà ospite proprio di un Albergo di Rivisondoli, ma che si allenerà a Castel di Sangro. Colorarci di violenza, significa dire che siamo inaffidabili e che ben fanno le famiglie dei tifosi avversari ad astenersi dal venire da noi. Eppure, una Squadra di serie A deve poter essere fonte di vantaggi anche economici per una Città da serie A civile, educata, pulita, decorosa, fiera. In effetti, nei fine settimana, potrebbero arrivare centinaia di milanesi, torinesi, bolognesi, come ospiti graditi, invogliati con l’offerta di pacchetti a prezzi scontati per alberghi, ristoranti e attività commerciali, e da accogliere allo Stadio tra cori e canti per dimostrare tutto il rispetto, il calore e l’umanità della Comunità. E, allora, nel ricordo di quella grande sofferenza, dichiariamo apertamente che “Salerno è contro ogni forma di violenza nello sport” e spuntiamo agli avversari le armi dell’odio e della brutalità. Dimostriamo, a tutti, che Salerno è Città di cuore e di amore, di onore e di valore, da sempre unita nella gioia e nel dolore. Oggi, sembra ci siano le condizioni per farlo. Perché c’è una Società che dimostra di gestire in modo ‘umano’ e ‘salernitano’ una Squadra alla quale la Comunità assegna compiti di riscatto morale e di difesa di una identità di cui i tifosi, per primi, dovrebbero essere fieri, portando in giro per l’Italia la storia, le tradizioni, il talento e l’umanità di una cultura millenaria. Salerno, ad oggi, non ha posizioni di merito in qualsiasi statistica nazionale, a cominciare da quella della qualità della via. Una rinnovata immagine sportiva potrebbe segnare l’inizio di un necessario recupero, economico e sociale, sostenuto proprio dalla Squadra del cuore.
Nella Prima Guerra Mondiale, furono inviati al fronte i giovani nati nel 1899. Avevano 18 anni. Si sacrificarono, a migliaia, per dare l’unità al Nostro Paese. Furono chiamati, semplicemente: “I Ragazzi del ‘99”. Nel 1999, a distanza di cento anni, quattro ‘Nostri Ragazzi’ si sacrificarono per unire i cuori e dare un insegnamento di vita. Nei prossimi giorni, la Città onorerà il nome di un grande uomo che qui visse da esule. Va bene. Ma, il ricordo dei piccoli ‘Quattro Ragazzi di Salerno del ’99’, non sarebbe meno meritevole. Dimostriamo di aver compreso la ‘loro grande lezione’ e che, a Salerno, lo sport è competizione di rispetto e amore. E, soprattutto, diciamolo a chi ancora oggi non è in grado di ascoltarne le voci.
Alfonso Malangone – Ali per la Città – 24/06/2023