Tangentopoli (81): la lettera di Giordano e la caduta di Salvatore Aversano che da imputato diventa “parte lesa”

 

Aldo Bianchini

L'ex tribunale di Salerno

SALERNO – Con il precedente capitolo di questa lunga storia ci eravamo fermati al 13 giugno 1993 per la vicenda legata alla fotografia scattata, dai servizi segreti, nella città di Eboli e raffigurante l’on. Carmelo Conte che dialogava in piazza con il Procuratore Generale della Cassazione dr. Antonio Albano (di origini ebolitane); nell’ipotetica foto (in realtà non è mai stata esibita pubblicamente) tra i due dialoganti (ma qui la profondità e la distanza sicuramente ingannarono) si sarebbe intravista una donna le cui sembianze e, soprattutto generalità non sono mai state svelate. Secondo il procuratore Domenico Santacroce quello era un incontro tra i due personaggi e la moglie di Enrico Zambrotti che giaceva nel carcere di Sala Consilina, dove era stato spedito proprio da “don Mimì” Santacroce.

Ciò per meglio ricordare a tutti quale fosse il clima, anche intimidatorio, che si avvertiva in quei giorni delle gravi ed irrevocabili decisioni di carattere giudiziario; il “dagli all’untore” era dietro ogni angolo di palazzo e si respirava in ogni ambiente; la paura, per non dire il terrore, aveva preso veramente tutti; e tutti diffidavano anche degli amici di una vita, in alcuni casi anche degli stessi familiari.

Questo era il risultato di asfissianti operazioni, soprattutto quelle effettuate sotto copertura, che avevano portato anche allo scatto di diverse fotografie di un incontro segretissimo avvenuto nottetempo nei primi mesi del ’92 in un angolo di Via Santissimi Martiri Salernitani tra un magistrato, un giornalista, la vice zarina dei servizi segreti (una donna di Agropoli), un politico e un uomo delle forze dell’ordine. Motivo dell’incontro, si disse, era il passaggio di alcuni fascicoli giudiziari dall’ufficio del pm nelle mani del giornalista, dopo l’attento filtraggio dello Scico, il servizio centrale di investigazioni sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza. Le fotografie comparvero qualche tempo dopo in maniera rocambolesca, ma non furono mai pubblicate perché, dichiarò Pasquale Nonno (allora direttore de Il Mattino) al pm Marcello Rescigno, erano state smarrite nel corso di un trasloco degli uffici in cui erano custodite a Via Chiatamone a Napoli. Ma a questo importante passaggio cercherò di dedicare un intero capitolo.

In questo clima di paura si arrivò al giorno 19 giugno 1993 quando dalla Procura di Salerno trapela la notizia che i magistrati si accingono a richiedere l’autorizzazione a procedere contro l’ex ministro Carmelo Conte per concussione e violazione della legge sul finanziamento dei partiti: 9 miliardi di lire che un gruppo di imprenditori era stato costretto a pagare all’Infomer (di Zambrotti e soci) su specifica richiesta del politico anche attraverso alcuni suoi stretti collaboratori. Da questa oscura vicenda prenderà, poi, corpo il famoso “processo Infomer” che in primo grado registrò, dopo molti anni, la condanna di Conte e Zambrotti; nei due gradi successivi i giudici sentenziarono l’assoluzione perché il fatto non sussiste, almeno per l’ex ministro.

E sempre nella giornata del 19 giugno 1993 il quotidiano Il Mattino spara la notizia della lettera scritta da Vincenzo Giordano, in carcere a Fuorni, ed inviata ai giudici del Tribunale della Libertà; manca il testo della lettera che sarà pubblicato soltanto alcuni anni dopo nel contesto del libro di Gaetano TroisiLa grande muraglia”: “Signor Presidente, sono assente dall’udienza non per mancanza di rispetto a lei e agli altri membri della Corte, ma perché, sgomento per quanto accadutomi, debilitato per lo sciopero della fame, ho preferito evitare il disagio della traduzione e il clamore della pubblicità. Prima della costituzione della commissione di valutazione dei progetti relativi alle grandi opere dichiarai che gli amministratori dovevano interferire il meno possibile e che io mi sarei sempre adeguato alle valutazioni tecniche specie se unanimi …. Signor Presidente, esprimo, da cittadino onesto, plauso per il lavoro dei magistrati che hanno scoperchiato la pentola della corruzione che si è diffusa come una metastasi. Un ruolo importante, forse determinante per il cambiamento, che spero si concretizzi al più presto, quello svolto dai Magistrati. Bisogna però avere la sensibilità di non fare di ogni erba un fascio. Se così fosse un cittadino come me che vive esclusivamente con uno stipendio che oggi sfiora i 2 milioni, dovrebbe pentirsi di essersi comportato onestamente. Scusandomi per l’ardire porgo a Lei ed alla Corte deferenti ossequi. F.to: Vincenzo Giordano”.

Credo che riproporre il racconto della lettera aperta di Vincenzo Giordano sia il modo migliore per ricordare quei momenti drammatici della tangentopoli salernitana e, soprattutto, la figura di un galantuomo quale Giordano era, anche a detta di tutti.

Ma il bello, il più bello per gli sciacalli assetati di sangue, deve ancora venire.

 

Dr. Salvatore Aversano - già consigliere regionale socialista

Passiamo al mattino del giorno 24 giugno 1993; i lettori e la gente comune corrono verso le edicole della città con gli occhi diretti ai titoli de Il Mattino per leggere le notizie sugli ultimi assalti alla diligenza politica, ma restano delusi, su Il Mattino non c’è niente e in tanti, distratti, non si accorgono che di fianco c’è il Roma, ed è proprio quel giornale che scavalcando il prestigioso quotidiano napoletano offre ai lettori la notizia del giorno “Arrestato Salvatore Aversano” che, nelle vesti di consigliere politico del ministro Conte, da tutti era visto come il tenutario delle chiavi del sacrario socialista  e che come massimo stratega era davvero il punto da cui partire per l’aggressione finale verso il PSI e verso il suo ministro.

Un titolo a tutta pagina per un articolo, a firma di Tommaso Siani (attuale direttore responsabile de La Città), che sancì una profonda e finale scissione in Procura tra i PM addetti alle indagini sulla P.A. (pubblica amministrazione); una scissione che inciderà notevolmente su tutte le altre indagini ancora in piedi e che in quel momento mise fuori gioco il pm d’assalto più contrastato fin dagli inizi di tangentopoli.

Difatti da quel momento in poi il pm Michelangelo Russo sarà relegato ai margini delle complesse indagini sulla P.A., mentre gli altri pm Vito Colucci, Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa proseguirono al galoppo le loro inchieste.

La scissione in Procura ebbe, subito, anche riflessi negativi all’esterno e, soprattutto, nel mondo dell’informazione; difatti fin dagli inizi del 1992 e fino al 24 giungo 1993 soltanto il quotidiano Il Mattino veniva gratificato con le notizie di prima mano che, con grande professionalità Luciano Pignataro sparava sulla prima pagina del suo giornale con un ritmo quasi quotidiano e con una strategia di attacco pianificati nelle stanze dei bottoni del giornale più diffuso nel meridione d’Italia.

L’articolo di Tommaso Siani del 24 giugno 1993 spezzò l’egemonia de Il Mattino per sempre ed entrò a tutto titolo sulla scena principale di tangentopoli sull’onda del favore di una parte consistente della Procura presso la quale, con lavoro certosino e costante, Tommaso era riuscito ad accreditarsi come il referente più affidabile per la cronaca giudiziaria.

Ma che cosa era accaduto ?

Ricostruzione giornalistica: La sera del 23 giugno 1993, intorno alle ore 20.00, il consigliere regionale in carica e già consigliere politico del ministro Conte un po’ pensieroso per la imponente mole di lavoro svolto in Regione e per gli appuntamenti dell’indomani nel collegio elettorale parcheggia l’autovettura nel parco in cui vive a Sala Abbagnano e si avvia lentamente verso l’ingresso della propria abitazione. Viene assalito anche dalla preoccupazione per le notizie che sono filtrate dalla Procura e che riguardano le sconcertanti ed assolutamente false dichiarazioni rese ai giudici dall’architetto Annibale Casilli (in carcere dall’ 11 maggio 93) in merito a due fatti in particolare:

1) Una maxi tangente versata dal CCC di Bologna (Coop Rossa Argenta) per l’appalto delle residenze universitarie;

2) Lavori di ristrutturazione della sede provinciale del PSI in Via Raffaele Conforti di Salerno.

Ad un paio di metri dal portone di casa i suoi pensieri vengono bruscamente interrotti dal rumore dello stesso portone che si chiude; nella penombra scorge due uomini che gli si avvicinano e subito si presentano come due ufficiali della Guardia di Finanza; rapido lo scambio di battute, poi i due lo sollecitano a seguirli verso il Comando provinciale.

Comincia così la lunga disavventura per il consigliere regionale dr. Salvatore Aversano che dopo ben 55 giorni esce da Fuorni per respirare di nuovo l’aria della libertà nella convinzione della sua assoluta innocenza.

In quei lunghi 55 giorni, sempre il quotidiano ROMA, svela che ad accusare Aversano è stato soprattutto  Enrico Galdi, cognato del capo gruppo socialista al Comune avv. Donato Iannicelli, con le sue dichiarazioni sui lavori della sede del partito. Insomma Salvatore Aversano vittima innocente del fuoco amico; e il PSI salernitano si sfascia.

Ci vorranno alcuni anni ma, alla fine, Salvatore Aversano riuscirà dimostrare in pieno la sua estraneità a tutti i fatti addebitatigli e, caso unico almeno nella circoscrizione giudiziaria provinciale, passerà da imputato a parte lesa nei confronti di chi lo aveva ingiustamente e proditoriamente accusato.

 

 

 

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