by Luigi Gravagnuolo – 21 Giugno 2023 0 per Gente e Territorio
Curare a proprio piacimento la disforia di genere, si chiama così l’ultima ‘libertà’ dell’Occidente. Con disforia di genere si intende il disagio avvertito da alcuni adolescenti verso il proprio sesso d’anagrafe, nel quale non si riconoscono. La disforia di genere è giustamente assimilata ad una patologia clinica, che può comportare gravi disturbi psichici. Necessita quindi di una cura.
Fin qui nulla da eccepire, il problema sorge quando si considerano alcune ‘cure’ della ‘malattia’ adottate ormai in diversi paesi dell’Occidente, dall’Olanda alla Gran Bretagna, a una dozzina di Stati degli USA. Consistono nell’assecondare il desiderio dell’adolescente di mutare genere, somministrandogli potenti inibitori ormonali, bloccanti della pubertà, ovvero cure chirurgiche idonee a rendere il corpo del soggetto disforico coerente con i suoi sentimenti e le sue aspirazioni sessuali. Ora, se a chiedere di essere sottoposto/a a cure di tal fatta è un adulto o un’adulta, si tratta di una sua scelta consapevole e ne ha diritto. Su questo non si discute. La cosa agghiacciante è quando tale pratica viene considerata un diritto incontrovertibile di un bambino o una bambina addirittura dai cinque anni in su, di conseguenza un diritto del suo genitore o tutore a richiedere ed ottenere tale trattamento per il proprio bambino/a. O ancora quando, com’è appunto nel caso di alcuni Stati USA, viene stabilito normativamente che un ragazzo/a di quindici anni possa richiedere la ‘cura’ desiderata anche senza il consenso dei genitori.
Peraltro questi farmaci utilizzati come bloccanti della pubertà sono facilmente acquistabili nelle farmacie, trattandosi di inibitori ormonali usati in medicina per alcune gravi patologie cliniche, quali ad esempio i carcinomi della prostata. Utilizzati off label – cioè per impieghi diversi da quelli indicati nel foglietto illustrativo e per i quali sono stati autorizzati dalle varie agenzie pubbliche del farmaco – hanno efficacia allo scopo di inibire lo sviluppo della sessualità di nascita di un adolescente. Non c’è perciò neanche bisogno di recarsi in una ‘clinica di genere’, basta procurarsi una ricetta medica, magari raggirando la buona fede di un medico.
Il fenomeno non è effimero, anche se non è diffuso a livello di massa. Si tratta di pochi casi, ma il ricorso alle cliniche di genere sta diventanto una moda. In Olanda, per dirne una, negli ultimi dieci anni si è avuto un rilevante crescendo di richieste di trattamenti bloccanti della pubertà: da 60 a 1.600!
Ora gli Stati in cui più è diffusa questa pratica si sono dati una svegliata e stanno cercando di pigiare il piede sul freno, ma lo stanno facendo sulla base del fatto che ad oggi si ignorano gli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci, non perché è semplicemente abominevole che un genitore possa portare un bambino/a in una clinica di genere per sottoporlo a queste ‘cure’. Altro che ‘cure’, questi sono esperimenti degni di Josef Mengele!
Ma santiddio, i bambini sono le persone più vulnerabili, andrebbero sostenuti, aiutati quanto meno fino alla maggiore età, affinché quando dovessero poi fare una scelta del genere, essa sia consapevole ed autonoma. Usati come cavie per accontentare dei capricci infantili, pur sapendo che non hanno ancora maturato una propria autonomia di giudizio, o peggio per soddisfare l’esibizionismo transgender dei genitori, è un’atrocità. E no eh! Questo non è un diritto, è una sevizia da considerare senza incertezza alcuna un reato universale!