Aldo Bianchini
SALERNO – In queste ore il Giro d’Italia (alla sua centoseiesima edizione, valevole come prova dell’UCI World Tour 2023), appena iniziato, sta attraversando in lungo e in largo la nostra regione e, dopo aver fatto tappa a Salerno, toccherà alcune splendide località della “Divina Costiera” sulle cui strade il campionissimo Fausto Coppi mise a segno la sua ultima (forse !!) straordinaria grande impresa ciclistica stravincendo il Giro della Campania il 9 aprile del 1954. Appena un anno prima aveva conquistato, per la quinta volta, il Giro d’Italia sbarazzandosi di uno scatenato Hugo Koblet sullo Stelvio che da allora è “Cima Coppi”. Ma le vicissitudini personali – affettive e familiari stavano già disegnando la fine del grande campione, almeno sul piano sportivo. Il mare di cobalto della costiera amalfitana, lo strappo dell’Agerola e, infine, la straordinaria performance (quasi da cronomen qual era) da Pompei a Napoli gli diedero gloria immortale (il Giro della Campania del ’55, vinto, non fu un’impresa).
Ma appena qualche mese dopo scoppia il caso della “dama bianca” e per Coppi fu davvero rapido declino e la fine.
Quel momento drammatico nella vita del campionissimo lo descrive con la freddezza di un magistrato ma in maniera assolutamente coinvolgente e commovente il dr. Matteo Claudio Zarrella che da ragazzo era andato ad assistere al passaggio del Giro d’Italia per vedere il mitico Fausto Coppi:
DA ATRIPALDA AL GIRO D’ITALIA RICORDANDO LA STORIA TRISTE DI FAUSTO COPPI
di Matteo Claudio Zarrella
(già presidente Tribunale Lagonegro)
Siamo verso la fine degli anni ‘50. Scolaresche in festa vengono portate a ridosso delle transenne ad assistere al traguardo di tappa al Giro d’Italia. “Nasone”, “Nasone”, gli grida contro un canagliesco aggruppamento di giovinastri all’arrivo, in ritardo, di Fausto Coppi. Coppi non è più il vittorioso campionissimo di una volta. Non gli si perdona il declino. Non si conoscono i suoi tormenti. Coppi deve continuare a correre sui pedali anche per dare sfogo ad un suo interiore malessere.
È una notte di pioggia, tra il 25 e il 26 luglio 1954. Ad un tratto si avverte uno stridore di motore. Da una automobile esce un maturo signore, sulla cinquantina: è il dottor Locatelli che fa da guida ai carabinieri, in presenza di un oscuro Pretore, per una irruzione nella villa di Fausto Coppi dove poter sorprendere la moglie Giulia in compagnia del noto campione. Sono le due di notte quando i “verbalizzanti” fanno “le costatazioni di legge”. Giulia dichiara: “Sono la sua segretaria”. Coppi conferma: “È stata assunta alle mie dipendenze con un regolare contratto” e mostra un libretto di lavoro e la tessera di vecchiaia e di invalidità dell’INPS. Un brigadiere si mette a tastare con le mani il materasso e lo trova ancora “caldo”: una prova del commesso adulterio. Il giornale la Stampa del 10 settembre del 1954 titola la clamorosa notizia: “La signora Locatelli arrestata dai carabinieri e trasferita nel carcere di Alessandria”. Accusata di “violazione degli obblighi di assistenza familiare e condotta contraria al buon ordine della famiglia”.
Si tiene al Tribunale di Alessandria il processo agli adulteri. Vengono sentite le commoventi testimonianze di Loretta Locatelli, di anni 9, e di Marina Coppi, di anni sette. Al processo Fausto Coppi si presenta impacciato, con le mani dietro la schiena, con l’impermeabile color verdino, con la cintura annodata ed il bavero alzato. Lo sguardo abbassato, con l’espressione malinconica che gli rimane anche quando sorride. Pare a disagio senza la sua bicicletta. Non si direbbe che sia stato capace di sfidare il mondo, inimicandosi i suoi stessi compagni di bicicletta (Bartali, Magni), contrariando perfino il Papa che gli aveva fatto pervenire pressanti inviti alla riconciliazione familiare. La sentenza viene letta il 14 marzo del 1955. Occhini Giulia è condannata per adulterio alla pena di mesi tre di reclusione, Coppi Angelo Fausto, quale complice in adulterio, è condannato alla pena di mesi due di reclusione, con il beneficio della condizionale. Dalla coppia nasce un bambino che i due “adulteri” cercano disperatamente di registrare all’anagrafe come figlio di Fausto Coppi. Il dottor Locatelli si oppone al richiesto disconoscimento di paternità. È il 24 dicembre 1955 quando il Tribunale di Varese ordina: “l’iscrizione riguardante il figlio della signora Occhini all’anagrafe di Varano Borghi sia corretta nel senso che dove è scritto Occhini Angelo Fausto Maurizio debba leggersi e intendersi Locatelli Angelo Fausto Maurizio e dopo le parole Giulia Occhini di Pietro e di Giulia Barbagli, debba aggiungersi la frase “coniugata con Locatelli Enrico”.
Coppi muore nel giorno di sabato, 2 gennaio del 1960. I giornali mostrano Coppi sul letto di morte, con il vestito nero di cerimonia, dovendo presentarsi rispettoso dinanzi a Dio.
Chiedo, ovviamente, scusa per il lungo preambolo ma a ciò sono stato indotto dallo splendido racconto del dr. Zarrella che, riesumando dopo sessant’anni vecchi e mai sopiti ricordi giovanili, è riuscito ad immortalare nella storia, ancor di più della semplice descrizione dei successi, la figura di un grande ciclista ma anche di un grande uomo che con la sua perseveranza affettiva riuscì negli anni ’50 a squarciare i veli di un bigottismo imperante; un comportamento che sicuramente incise profondamente nel costume degli italiani che dopo meno di vent’anni ottennero la legge sul divorzio.
Ma il racconto del Dr. Zarrella, già magistrato e già presidente del Tribunale di Lagonegro, mette in luce anche un particolare non trascurabile della vita di un uomo che ha svolto un compito importantissimo nella società come quello del magistrato.
Ho conosciuto troppo tardi il dr. Zarrella, cioè quando era già in procinto di lasciare la toga, per poter esprimere un giudizio sull’uomo-magistrato, ma nel suo scritto leggo una grande passione per lo sport e chi è amante dello sport non può non essere anche un eccellente professionista, capace di guardare addirittura dentro l’animo (come ha fatto con Coppi) di chi si trova di fronte per essere giudicato nella sua colpevolezza o innocenza.
Ma c’è anche un altro aspetto dell’uomo sportivo-magistrato-scrittore che va sottolineato con forza: la fede cristiana (non a caso e non per caso ha scritto “Quid est veritas” come rivisitazione del processo a Cristo) associata all’amore per lo sport ed all’innata legalità del suo temperamento caratteriale; doti che lo hanno portato ad essere, sicuramente, un ottimo magistrato che potrebbe ancora svolgere il suo ministero distinguendosi dalla massa che brama soltanto l’esercizio di un potere sconfinato.
Ed è qui la verità (senza voler parafrasare il titolo del libro di Zarrella) di un sistema giudiziario che andrebbe riformato fin dalle sue radici per garantire equità nella giustizia, come ha fatto il presidente Zarrella nella rivisitazione di un momento particolarissimo della vita di un uomo vero che non a caso fu anche un grande campione dello sport.
Carissimi Direttore Aldo Bianchini e Presidente Dott. Matteo Claudio Zarrella , a mio sommesso avviso Fausto Coppi e Gino Bartali sono stati due personaggi sportivi di altri tempi che hanno fatto parte e fanno ancora parte della storia del ciclismo del nostro paese e non solo. L’accesa competizione erano affiancate dalla lealtà e dal rispetto reciproco, due immensi campioni del ciclismo ma soprattutto di lealtà, tra di loro c’era una grande correttezza e mai cattiveria. La contrapposizione era soprattutto strumentale e non aderente alla realtà dei fatti. Cinque Giri d’Italia Coppi e tre Bartali, due Tour de France a testa, quattro Milano-San Remo Bartali e tre Coppi e numerose sfide. L’episodio storico che riassume la loro lealtà e sportività, la rivalità corretta, la signorilità, il passaggio della bottiglia -borraccia da Gino Bartali a Fausto Coppi durante il Tour de France o viceversa? Fausto Coppi morì a soli 40 anni, il 2 gennaio 1960 dopo aver contratto una forma aggressiva di malaria in Africa, tra i primi ad accorrere dopo la notizia fu proprio Gino Bartali, il quale mancò il 5 maggio del 2000 e si dice che nella sua bara, oltre alla medaglia d’oro al valore civile ,conquistata salvando decine di Ebrei durante la guerra, e al distintivo dell’Azione Cattolica venne messa una fotografia di Fausto Coppi, così che i due Campioni potessero idealmente “stare ancora insieme”. Due sportivi che sono stati dei veri Gentleman!
Complimenti vivissimi al giornalista per aver colto l’essenza della sensibilità del Presidente Zarrella, un magistrato d’eccezione, che ha fatto del suo mestiere un’occasione per guardare a fondo nell’anima dei personaggi, incrociati nel suo cammino. Un’occasione, nata da una cultura classica, profondamente radicata, che ha assunto sempre come punto di riferimento la convinzione di Terenzio “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” e l’ha applicata in ogni suo gesto, in ogni sua decisione, in ogni sua sentenza. Sentirsi uomo tra gli uomini, vivere nell’intimo il dramma del dubbio e chiedersi sempre “Quid est veritas?”, a mio modesto giudizio, rende in pieno lo spessore del magistrato, dell’uomo di cultura, dell’osservatore attento dell’animo umano.