Aldo Bianchini
SALERNO – L’articolo pubblicato lo scorso 12 aprile da titolo “PD: D’Attorre, gli antideluchiani e quella telefonata maldestra” ha suscitato come previsto una certa reazione ed anche un certo interesse storico per quei fatti accaduti nella primavera-estate del 2006 all’epoca dello scontro elettorale De Luca – Andria per la poltrona di sindaco di Salerno.
Nel citato articolo ho dimenticato di riportare lo slogan principale di quella campagna elettorale (sostanzialmente organizzata da D’Attorre e Landolfi con la supervisione di D’Acunto) ed ho, lo riconosco, sbagliato di qualche mese nel datare la successione di Nicola Landolfi alla guida del PD provinciale ad immagine deluchiana (penso che su questo non ci sia alcun dubbio, se no dovremo riscrivere la storia !!).
Il leit-motiv elettorale fu coniato, ovviamente, da Vincenzo De Luca in danno di Alfonso Andria quando in un pubblico comizio al Parco Arbostella proclamò che “Andria somiglia ad un bambino che va verso l’altare per la prima comunione portando in mano un vistoso giglio”.
Ho dimenticato ed ho sbagliato, dicevo, ma la sostanza del racconto storico non cambia di un virgola, anche se legittimamente Landolfi ci ha tenuto a precisare che: “Sono diventato segretario del Pd, ben lontano dal 2006. Quindi con gli anni non ci troviamo. Non sono mai stato segretario dei Ds, bensì del Pd, dopo Michele Figliulo che lo è stato dal 2007-2010. Tra l’altro, non so se questo renda -quotati-, sono stato eletto tre volte consigliere comunale e, dei 15 anni trascorsi al Comune, 8 sono stati da Capogruppo consiliare. Cordialità”.
Dunque, a parte il fatto che nell’articolo non viene citato alcun partito politico e il dubbio che non so se senza l’avallo di De Luca sarebbe mai stato eletto, come vedete la sostanza non cambia e l’utilizzo di Michele Figliulo (già sindaco di Valva, detto “il pompiere” per le sue eccellenti capacità di mediazione) fu, come al solito, una grande trovata di De Luca per spegnere ogni attrito e/o lotta intestina per la successione di D’Attorre.
All’epoca, e Landolfi lo ricorderà benissimo, De Luca aveva avviato la strada acchè i suoi “due cavalli di razza” (così venivano definiti Alfredo D’Attorre e Nicola Landolfi) potessero conquistare i vertici del partito garantendogli una tranquilla continuazione del suo potere a fronte di un pacifica transizione; poi, però, D’Attorre sbagliò tempi e modi ponendosi non come delfino ma come antagonista e la rottura pesante fu inevitabile. Landolfi, invece, continuò a rimanere nel solco deluchiano ma la frittata era stata rotta da D’Attorre ed all’orizzonte si affacciavano i due figli del kaimano che sgomitavano per emergere sotto la guida del mossiere. Bisogna dare atto a Landolfi di essere riuscito a sopravvivere, con tenacia e capacità organizzativa, all’incalzare furioso dei due rampolli di famiglia; e di essere sceso in campo, sempre e comunque, a difesa dei duenei momenti in cui qualche difficoltà l’hanno pure avuta.
In poche prole, anche io avrei preferito. e preferisco, i figli a personaggi (escluso Landolfi) che via facendo sicuramente tradivano le aspettative del kaimano; per dire tutta la verità De Luca si è fidato in tempi diversi di troppi filosofi (Cantillo, Cacciatore e D’Attorre), come lui laureati in filosofia, e tutti e tre lo hanno prima esaltato, poi lasciato e infine accusato; ma lui è andato avanti lo stesso perchè conosce soltanto la “filosofia pragmatica del potere” che è altra cosa; ma di questo c’è tempo per parlarne.
Per chiudere riconfermo la mia convinzione, e Landolfi se ne faccia una ragione, che la storia non possono scriverla i protagonisti, anche se dagli stessi bisogna sempre attingere le cose più importanti; non certamente le date degli eventi come se fossimo scuola davanti alla solita maestra che in mancanza delle date non ti fa andare avanti con il racconto della storia e dei suoi contenuti.
Caro Direttore, concordo: da quando il potere del Trono è stato diviso dal potere dell’Altare, la Storia è diventata patrimonio esclusivo dei Poeti.