Il 2 Febbraio 2023, presso il Tribunale di Lagonegro-GUP dott. Trivelli, si terrà la seconda udienza preliminare contro un carabiniere che nell’anno 2014 mi accusò di simulazione di reato. Tale accusa comportò un processo a mio carico, terminato con la mia piena assoluzione solo nell’anno 2019, dopo numerosi maldestri tentativi di incastrarmi a ogni costo, violando persino le ordinarie procedure, non dando riscontro alle mie memorie difensive ex art.121 CPP, rinunciando il PM a un teste (un altro carabiniere) per poi richiamarlo nel tentativo di rimediare alla contraddittoria testimonianza resa in aula dal primo carabiniere mio accusatore; soprattutto, venendo meno il PM al suo preciso dovere di cercare la verità quale che sia, pro o contro l’imputato. Nel corso del processo a mio carico emersero numerose incongruenze tra l’informativa del carabiniere accusatore e la sua testimonianza resa in aula, situazione aggravata peraltro dalla sparizione di un video che avrebbe, a dire dello stesso militare, inchiodato il sottoscritto senza alcun dubbio. Nel processo a mio carico dovetti difendermi da solo, avvalendomi delle possibilità offerte dall’articolo 121 del Codice di Procedura Penale (CPP); questo perché i due avvocati, che in successione mi vennero assegnati come difensori di ufficio, forse per timore di doversi scontrare con un militare dell’Arma, tennero i seguenti comportamenti:
a) il primo avvocato cercò di convincermi che avrei dovuto dimostrare la mia innocenza e quando gli feci presente che nel nostro sistema accusatorio occorre provare semmai l’accusa, abbandonò il caso e mi consegnò le poche carte raccolte augurandomi buona fortuna;
b) il secondo avvocato invece cercò inizialmente di convincermi a patteggiare, sostenendo che la condanna mitigata che ne sarebbe derivata non avrebbe comportato neppure la trascrizione nel casellario giudiziario; quindi si presentò in aula, ma non produsse mai alcun documento difensivo.
Fui quindi costretto a difendermi da solo, ossia a presentare memorie difensive scritte personalmente e a svolgere un’indagine difensiva al fine di sottolineare, sulla base dei dati oggettivi che raccolsi, le incoerenze e i vuoti dell’impianto accusatorio. In particolare, la scomparsa di un video che avrebbe dovuto costituire un elemento di prova incontestabile a mio carico; esso non si poté esaminare in aula perché non più presente nel fascicolo della Procura che sosteneva l’accusa contro il sottoscritto.
In occasione dell’ultima udienza nella quale si tenne la discussione finale, il PM presente in aula chiese per il sottoscritto otto mesi di reclusione, ritenendo di aver provato l’accusa a mio carico e riconoscendo semplicemente le attenuanti generiche in quanto incensurato. Il mio avvocato difensore chiese invece la mia assoluzione, sottolineando le incoerenze della testimonianza resa in aula dal carabiniere rispetto all’informativa dello stesso militare, documento principale che aveva contribuito a mandarmi sotto processo.
Quando infine venne il mio turno di parlare, il giudice cercò di impedirmelo sostenendo falsamente che avrei dovuto prendere la parola prima del Pubblico Ministero, mentre il codice di rito prescrive in modo chiaro e inequivocabile che l’ultima parola spetta proprio all’imputato. Fu solo a seguito della mia insistenza e alla lettura in aula dell’articolo del codice di procedura penale che prescrive il diritto sopra indicato che potei parlare e depositare l’ennesima memoria difensiva. Il dispositivo della sentenza che mi assolveva con formula piena (perché il fatto non sussiste) venne depositato in brevissimo tempo dal giudice; a esso seguì la sentenza completa con le motivazioni e quindi la rinuncia della Procura a impugnarla ricorrendo in appello.
Da parte mia, ritirato il dispositivo che riconosceva la mia piena assoluzione, procedetti a presentare dettagliata querela contro il mio accusatore per calunnia, falsa testimonianza, false informazioni fornite al PM, frode giudiziaria e depistaggio. La Procura ritenne di indagare inizialmente solo sulla falsa testimonianza e quindi di avanzare richiesta di rinvio a giudizio per tale reato; per esso è già in corso un processo penale a carico del carabiniere che mi accusò di un reato da me mai commesso. Tuttavia, ritenendo la posizione della Procura protettiva nei confronti del militare (il reato ascrittogli è quello meno grave), insistetti perché venissero fatte indagini sulla sparizione del video che doveva essere agli atti. Costretto dalle mie insistenze, lo stesso Sostituto Procuratore che aveva condotto l’indagine sulla falsa testimonianza del carabiniere ne avviò un’altra sulla sparizione del video che risultava inizialmente acquisito nel fascicolo di indagine a mio carico e poi scomparso.
Ritrovato finalmente il video, è stato condotto un esame dello stesso con l’ausilio di un consulente tecnico di ufficio, il quale ha concluso nella sua perizia depositata in Procura che il filmato non contiene alcun elemento di prova a mio carico. Ne è derivata pertanto una ulteriore richiesta di rinvio a giudizio del carabiniere per i reati sopra indicati, molto gravi perché vanno dalle false informazioni fornite al PM, alla frode giudiziaria e al depistaggio. Nel corso del processo a mio carico avevo ripetutamente informato della vicenda in argomento, tramite PEC e allegando i documenti processuali, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il quale non ha mai dato riscontro ai miei solleciti tesi ad attivare un’indagine interna sulla condotta del carabiniere accusatore.
Pertanto, in sede di prima udienza preliminare relativa alla questione del video di cui venne data una trascrizione infedele con l’intento di accusarmi, ho chiesto e ottenuto che venisse citato in giudizio il Ministero della Difesa per responsabilità oggettiva e omissiva dell’Arma dei Carabinieri che ad esso afferisce. Nonostante tutto, mi ritengo fortunato se oggi posso raccontare la mia storia, perché altri come Stefano Cucchi e Serena Mollicone non hanno potuto farlo: a loro dedico questo mio scritto.
F.to: Giuseppe Ruggiero, 21 Gennaio 2023