SALERNO – Quando si parla o si scrive, soprattutto quando si scrive, di Cosimo D’Andrea è sempre molto difficile trovare il titolo adatto. Si finisce fatalmente sempre per sbagliare, tanta è la complessità ed anche lo spessore culturale e imprenditoriale del personaggio. In esso si assommano molti profili di diversa natura e chiaramente di diversa lettura, a seconda da quale angolazione lo si vede o lo si vuole vedere. A volte anche per lo stesso profilo è stato visto e letto in maniera assolutamente diversa, contrastante e inquietante. Ma avremo modo di parlarne nelle successive puntate di questa storia che mi accingo a raccontare soltanto al fine di portare un piccolo e modesto contributo di chiarezza. Nella mia lettura non ci sono altri scopi. L’ultima volta che ho scritto qualcosa su Cosimo D’Andrea (il giorno 10 febbraio scorso) l’ho fatto per commentare un articolo apparso su “Il Mattino” del 13 gennaio 2012 dal titolo “Morì in carcere, risarcito D’Andrea”. L’articolo raccontava che “il decesso del detenuto diventa un caso di studio per giuristi e giudici” ad opera dell’Associazione DEA, rappresentata dagli avvocati Forlani e Girardi nell’ambito del convegno “Morire in carcere” svoltosi a Salerno il 27 gennaio 2012 nel salone dei marmi del Comune. Insomma il caso D’Andrea, dopo anni di oblio, è ritornato sulle prime pagine della cronaca ad opera degli avvocati Dario Incutti e Francesca Forlani che hanno promosso e vinto in Cassazione il ricorso ispirato dal fratello di Cosimo, Damiano D’Andrea, contro il medico del Cardarelli (Michele Galante) con l’accusa di “omicidio colposo” in danno del congiunto per via di alcuni giudizi contrastanti sullo stato di salute del paziente e sulle sue reali possibilità di sopportazione e di compatibilità con il regime carcerario. La pronuncia della Cassazione potrebbe indurre la Procura della Repubblica di Salerno a riaprire il “caso D’Andrea” e su tutto quello che il D’Andrea ha rivelato o avrebbe rivelato agli inquirenti. Il mio scritto del 10 febbraio scorso ha suscitato molte più reazioni rispetto a quello de Il Mattino che pure aveva enunciato concetti molto più gravi e più pesanti nei confronti del profilo giudiziario del D’Andrea. Reazioni che sono, probabilmente, frutto di una considerazione nei miei riguardi leggermente più elevata rispetto a quella dei colleghi del quotidiani napoletano, perché probabilmente sono stato considerato meno appiattito su posizioni preconcette o su posizioni ispirate, non dai fatti reali, ma dall’ondivago atteggiamento degli inquirenti nei confronti di un personaggio che, in verità, si è anche esposto a questo tipo di analisi così diversificata. Ebbene, devo riconoscere, con onestà intellettuale, che anche io ho corso il rischio di appiattirmi su alcuni aspetti del profili di D’Andrea che hanno fatto comodo a tanti inquirenti salernitani. Voglio chiarire che non spetta a me dare una lettura vera e definitiva dei vari profili del personaggio D’Andrea che, in apertura, ho definito molto complesso. Il mio vuole essere soltanto un piccolo contributo di chiarezza in una dilagante e troppo generalista definizione di Cosimo D‘Andrea come “pezzo da novanta della malavita organizzata salernitana, capo dell’omonimo clan e imprenditore del malaffare, protagonista dell’associazionismo camorristico già a partire dagli anni ‘80” (fonte Il Mattino). Una definizione che molto verosimilmente ha fatto comodo a tutti: gente comune, camorristi, imprenditori, politici, magistrati e giornalisti. Prima di chiudere questa prima puntata è necessaria una riflessione sul titolo “All’ombra delle legge”. Dall’esame di tutto il materiale raccolto e dalla conoscenza diretta, anche se parziale e risalente a molti anni fa, ho sempre pensato che Cosimo D’Andrea fosse un personaggio vissuto all’ombra della legge, quasi costretto in alcuni momenti, dalla quale è stato a fasi alterne assolto e condannato, sfruttato e trascurato, creduto e inascoltato. Fino al punto che Lui, comunque uomo tutto d’un pezzo, si fosse lasciato sprofondare nell’oblio di se stesso e del ricordo degli uomini. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini