SCUOLA-LAVORO: il caso dello studente morto, ma non indennizzato, non è un cavillo … ma un sistema

 

Aldo Bianchini

Giuliano De Seta, lo studente morto per infortunio nel corso uno stage scuola-lavoro

SALERNO – Fare giornalismo sulle veline è l cos più antipatica e, purtroppo, più antica; e purtroppo la storia di un’informazione approssimativa si ripete sempre più spesso. Il caso dello studente Giuliano De Seta morto in fabbrica dove stava dove stava seguendo uno stage scuola-lavoro ha scatenato il mondo dell’informazione dal nord al sud perché al ragazzo non spetta alcun indennizzo da parte dell’INAIL (ente preposto al risarcimento dei danni psico-fisici derivati da stress e/o incidente subiti in conseguenza di lavoro dipendente).

Il caso di Giuliano De Seta ricade, purtroppo, in quella sfera molto più complicata della “vivenza a carico” che ho già trattato anche per il caso eclatante della barista-laureata Francesca Mansi morta nel fango dell’alluvione di Atrani il 9 set. 2010 mentre era al lavoro nel bar della piazza principale del paesino costiero.

Anche il quel caso di palese infortunio occorso “per causa violenta in occasione di lavoro dipendente” non scattò alcun indennizzo perché non sussisteva la cosiddetta “vivenza a carico” in quanto il reddito della sfortunata Francesca non era ragionevolmente sufficiente per dare un valido contributo economico per la sopravvivenza della famiglia. In pratica i genitori della ragazza, con le loro entrate, erano assolutamente autosufficienti rispetto al piccolo contributo che avrebbe potuto offrire la lavoratrice che con il suo piccolo lavoro si era anche mantenuta parzialmente agli studi.

Le forme assicurative contro gli infortuni sul lavoro hanno avuto notevoli miglioramenti nel corso dei decenni; per capirlo basta pensare all’indennizzo creato ad arte per Guido Rossa ucciso dalle brigate rosse a Genova e per il qual venne riconosciuta la causa di lavoro nel fatto che andava in tribunale per testimoniare in favore di un collega di fabbrica che era stato gambizzato; oppure per i tre lavoratori agricoli di Sanza morti nel 1977 per soccorrersi l’un l’altro.

Ma l’informazione fa il suo corso nonostante i chiarimenti offerti negli anni dall’INAIL che sicuramente non è mai andato, e non va, alla ricerca di un cavillo per non indennizzare, come erroneamente hanno scritto tante testate giornalistiche in questi giorni.

Marina Elvira Calderone, ministro del lavoro

Qui è necessario cambiare un sistema essenzialmente privatistico su cui è strutturato l’Istituto che tutela gli infortuni sul lavoro; con tutti i rischi del caso e gli inevitabili eccessi di un popolo di lavoratori ancora non abituato a certe tipologie di indennizzo; come accade in Svizzera dove l’infortunio in itinere, per fare un esempio, è tutelato in ogni maniera. Se la stessa cosa accadesse in Italia bisognerebbe subito preparare la via per un default dell’intera nazione, altro che prendersela con l’INAIL.

Adesso, però, il governo centrale ha un grosso vantaggio rispetto ai governi del passato in quanto al posto di ministro del lavoro dal 22 ottobre 22 c’è un tecnico di eccellenza: la dott.ssa Marina Elvira Calderone che essendo stata per decenni la presidente nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro queste cose dovrebbe conoscerle benissimo e dovrebbe avere anche le risposte giuste per la risoluzione di questo, ed anche di altri, annosi problemi che caratterizzano il complessivo sistema previdenziale pubblico della Nazione.

E’ Lei che la stampa dovrebbe sollecitare, non l’Inail.

 

 

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