Sassano: la vera storia dell’ecomostro
La redazione di www.ilquotidianodisalerno.it ha ritenuto opportuno riproporre per intero “la storia” relativa al cosiddetto ecomostro di Sassano al fine di consentire, per quanto possibile, un sereno ed obiettivo giudizio. La storia, scritta dal direttore Aldo Bianchini, era già stata pubbicata tempo fa a puntate anche sul giornale “Roma-Cronaca” un paio di anni fa. Riproporla è come atto di rispetto verso tutta la popolazione di Sassano.
Di Aldo Bianchini
Transito molto spesso sulla strada ai piedi del cosiddetto “Ecomostro” di Sassano, una struttura in cemento armato dell’altezza di alcune decine di metri che dovrà ospitare secondo il disegno dell’Amministrazione Comunale la “nuova casa dei cittadini”. In termini esclusivamente obiettivi passando sotto quella ingombrante struttura se ne riceve un’impressione tutt’altro che positiva anche sul piano della sicurezza di tenuta di un cantiere ormai fermo da qualche anno. Non ho ben capito a quali “vigenti normative” in materia il sindaco Domenico Rubino si riferisse quando ha risposto alla domanda della giornalista Milena D’Urso (rivista Cilento del gennaio 2010), così come non ho capito a quali e quanti cittadini si riferisse Nicola Trotta nella sua qualità di “portavoce di un gruppo”, nello stesso articolo del Cilento. Così come non riesco a capire sulla base di quali perizie scientifiche e tecniche possa essere conclamata una “leggenda metropolitana” su un presunto cedimento strutturale del costruendo municipio. Non capisco neppure la faziosa attribuzione di “estrosità” al gruppo di architetti che ha predisposto il progetto e vinto il concorso di idee. Non mi ha convinto neanche il “chiediamo la demolizione del mostro di Sassano”, gruppo apparso sul più grande social network mondiale F.B. con l’intento fallito di aggregare centinaia e centinaia di consensi. Ed a questo punto mi appaiono tardive tutte le malcelate strumentalizzazioni (sia di destra che di sinistra) di natura politica in un paese che sarà chiamato alle urne per le amministrative nei giorni 28 e 29 del prossimo mese di marzo. Così come strumentali mi sembrano le polemiche che si sono riaccese dopo il 1° febbraio 2010 a seguito della pubblicazione da parte del Comune del bando per l’assegnazione delle opere relative al II lotto (circa 600.000 € oltre Iva) per l’avvio della conclusione dei lavori. Assolutamente fuori contesto il grido d’allarme di Valentino Di Brizzi (probabile candidato alla poltrona di sindaco per il PdL) che si appella ad una fantomatica “non condivisione dei cittadini del progetto della nuova casa comunale”. Verrebbe voglia, a questo punto, di chiedere a tutti se hanno mai visitato il progetto sul sito del Comune e quale impressione ne hanno ricavato. Al di là delle ovvie, scandalose e inspiegabili lentezze di un’amministrazione che si avvia verso le elezioni con un bagaglio di colpevoli responsabilità. L’unica cosa realmente simpatica delle intricata vicenda rimane il capolavoro (si fa per dire!!) scritto, con una foto, da Gaetano D’Amato che ha fotografato il luogo inviando il risultato scenico al concorso “Nonsolopuntaperotti” di Milano aggiudicandosi il primo posto. Ma D’Amato, a quanto mi risulta, non ha espresso alcun commento guardandosi bene dal dichiarare “Riabiliterò l’immagine del mio comune” (Diano del 10 aprile 2009), oppure “Chiediamo la demolizione del mostro di Sassano” (Facebook gruppo) o anche “Il municipio di Sassano non piace ai cittadini” (Cilento, gennaio 2010), ovvero del tipo “Un triste primato per l’attuale amministrazione” (Cronache del Mezzogiorno del 7 febbraio 2010). Insomma prima di avviare questa inchiesta giornalistica sul cosiddetto “Ecomostro di Sassano” ho letto di tutto ed ho interpellato anche tecnici di riconosciuta professionalità ottenendo dagli stessi accurate relazioni in merito. Nell’ottica e nell’etica che una inchiesta giornalistica deve perseguire soltanto il fine di raggiungere l’obiettivo della verità, o almeno la verità più verosimile senza dubbi, incertezze, derive politiche e interessi di parte. Come ho detto all’inizio di questo articolo anche io passando semplicemente per quella strada ho la sensazione di qualcosa di brutto (per non dire mostruoso!!), ma un giornalista deve saper superare le impressioni personali, deve togliere i veli ai fatti e le veline alle idee, ed andare avanti (anche contro se stesso) con etica e trasparenza. Mi sono deciso ad avviare questa inchiesta, ben sapendo del probabile rumore che produrrà, dopo aver sfogliato, letto ed anche attentamente studiato un articolo apparso sulla rivista periodica dellìOrdine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Salerno ed inerente il concorso di progettazione della nuova casa comunale a Sassano. Per il seguito dovete, però, avere pazienza ed attendere la prossima puntata.
Seconda puntata
Prima di andare avanti con l’inchiesta, che è e rimane giornalistica, mi corre l’obbligo di fare una premessa importante per chiarire, senza mezzi termini, come si articolerà l’inchiesta che non dovrà tener conto di interessi personali o politici e che, per quanto mi riguarda, non la manderò a dire proprio a nessuno. Dunque il 31 marzo 2009 a Milano la foto del cosiddetto “Ecomostro” scattata da Gaetano D’Amato si aggiudicò il primo premio del concorso “Nonsolopuntaperotti”. Soltanto dopo undici giorni, cioè l’ 11 aprile 2009, venni a conoscenza del concorso fotografico nazionale e dei problemi connessi all’esistenza di quella megastruttura in cemento armato abbandonata a se stessa e che, puntualmente, da anni vedo nei miei continui passaggi. Accadde grazie ad un articolo di Roberto De Luca che il quotidiano online www.dentrosalerno.it (di cui tra l’altro sono anche l’editore) ospitò in prima pagina; quell’articolo suscitò l’attenzione di un lettore (tale Mariano) che scrisse: “Seguo spesso gli articoli di Roberto De Luca. Questo dedicato al cosiddetto ecomostro di Sassano è allucinante come storia. Però De Luca non l’ha raccomtata per intero. Perché non ci ha detto a chi è stato affidato il progetto e chi è stato favorito nella progettazione; forse perché potremmo scoprire retroscena inquietanti di favori a parenti ed amici? Attendiamo la verità. Un saluto, Mariano”. Questo commento del lettore, credo del Vallo di Diano, non ha mai ricevuto risposta e la cosa, sinceramente, mi incuriosì perché sarebbe sciocco negare che i fatti e le circostanze le conosco personalmente abbastanza bene. E quindi per abbassare qualsiasi tipo di velo dico subito che l’aggiudicazione di quel progetto qualche mormorio in paese lo suscitò, anzi per meglio dire in molti ambienti si sparò subito a zero contro il sindaco dell’epoca, Gaetano Arenare, per presunti favoritismi a vantaggio del pool vincente anche perché in quel pool era inserita una giovane architetta a nome Marianna Lapadula, nipote di Domenico Rubino (grande amico di Arenare) che poco tempo dopo diventerà sindaco di Sassano a conclusione di una una campagna elettorale incredibile con una sola lista in campo, quella di Rubino e dell’ex sindaco Arenare. Ho chiarito questo episodio, che De Luca non trovò modo di chiarire, soltanto per esplicitare meglio il mio pensiero. Fissare l’obiettivo delle polemiche solo e soltanto su un nome si rischia di debordare da quello che è l’obiettivo reale, capire cioè se il progetto è frutto di una incomprensibile fantasia o di un lavoro di gruppo serio e coscienzioso rispondente alla domanda originaria dell’Amministrazione Comunale di Sassano: un concorso di idee per la progettazione e la costruzione della nuova casa comunale. Poco importante, anzi del tutto irrilevante, se in questo gruppo c’è la nipote del sindaco in pectore; anche perché la professionalità di un soggetto non la si misura con le chiacchiere e le polemiche ma valutando il lavoro tecnico-scientifico posto alla base di una progettazione. E poi si tratta di un caso veramente unico, per quanto attiene la Lapadula; sconcertante sarebbe stato se la stessa nel corso di questi anni si fosse aggiudicata tutti o quasi i progetti messi in cantiere dal comune di Sassano. Ma così non è, almeno così mi risulta, e questo è garanzia di serietà ed anche di serenità, per tutti. Ho tacitato, con questa premessa, anche i bollenti e oscuri spiriti di chi una sera a cena mi raccontava queste cose cercando di far leva sulla mia innata propensione verso le inchieste rumorose. Ma ritornando all’articolo dell’ 11 aprile 2009 di Roberto De Luca, devo anche precisare che in quell’occasione, nell’enfatizzare il masso bianco che l’arch. Ottavio Di Brizzi aveva scelto come “sasso sano”, veniva scritto testualmente: “…l’architetto non avrebbe approvato la costruzione del cosiddetto ecomostro …”. Ebbene io che ho conosciuto bene il mai molto compianto Ottavio posso in tutta buona fede dichiarare che qualche dubbio invece ce l’ho; con l’aiuto di Ottavio molti anni fa condussi anche delle inchieste televisive sul comune di Sassano che fecero scalpore e mi procurarono non pochi grattacapi, altro che storie o chiacchiere a vuoto. Ma con tutte le riserve del caso posso solo dire che l’architetto Di Brizzi era anche un politico e che, come tutti i politici, a volte poteva e doveva accettare anche delle mediazioni, lecite ovviamente. Per un giornalista le parole mediazione e compromesso non sono consentite, almeno lo spero. La lunga premessa iniziale è finita e adesso (come dice Santoro per il suo Annozero) l’inchiesta può cominciare.
Terza puntata
Nelle due precedenti puntate ho posto l’accento della mia inchiesta su quanto è stato scritto e detto sul cosiddetto “ecomostro di Sassano” ricavandone l’impressione, se devo essere sincero, di un certo accanimento preconcetto contro uno scheletro di cemento armato che da qualche anno deturperebbe il paesaggio e lo stesso assetto del centro storico cittadino. Una situazione a dir poco quasi normale in un Paese dove gli scheletri di cemento armato restano immutabili anche per decine di anni; nel caso in esame il tempo trascorso dall’aggiudicazione della gara, dall’inizio dei lavori e dalla conclusione della struttura è davvero risibile rispetto alla media nazionale. Del resto il sindaco Rubino, un paio di mesi fa, ha dichiarato alla giornalista del “Cilento” che: “E’ vero, i lavori sono fermi, ma intanto abbiamo avviato e stiamo portando avanti l’iter procedurale per dare esecuzione al secondo lotto…”. E la dichiarazione ha avuto un seguito molto preciso; il 1° febbraio scorso il Comune ha pubblicato il bando per l’assegnazione delle opere relative al II lotto (circa 600mila euro). Detto questo devo confessare che cosa mi ha indotto a mettere su questa inchiesta che, ripeto, è e rimane una inchiesta giornalistica e nulla più. Un fatto, in particolare, mi ha colpito: l’articolo a firma di Mario Giudice pubblicato sulla rivista dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Salerno. Nell’articolo l’autore dopo aver stigmatizzato che “”diversamente da altre parti d’Italia nel Meridione il concetto del <concorso di idee> stenta ad attecchire….””, in merito al concorso di idee per la realizzazione della nuova casa comunale scrive testualmente: “”il medesimo comune, molto civilmente, ha fornito esiti e motivazioni e tutti i partecipanti hanno messo a disposizione il materiale progettuale prodotto. Ci è sembrato quindi serio e costruttivo pubblicarne una breve sintesi””. Insomma, dice Giudice, il concorso di idee è una scelta politica a cui i tecnici devono dare delle risposte precise. Dunque se il concorso di idee è una scelta politica si deve riconoscere che la scelta la fa chi governa e che i progettisti rispondono sul piano tecnico e realizzativo ad una precisa domanda. A questo punto, dunque, si può discutere la scelta politica fatta all’unanimità dalla maggioranza (e non solo) dell’epoca ma certamente non dovremmo parlare di ecomostro in una fase ancora troppo iniziale dell’intero progetto elaborato dal gruppo “Spirito Nuovo Tra Antiche Mura” composto dagli architetti Cono Manzolillo, Vito Garone, Saverio Romano e Marianna Lapadula. Ma la cosa certamente più sorprendente del citato articolo è che il suo autore, Mario Giudice, è un architetto che aveva partecipato al concorso di idee e perso insieme al suo gruppo (denominato <Passeggiando nella valle delle orchidee>, costituito oltre che da lui anche dall’arch. Paolo Spagnuolo, l’ing. Fabrizio Scapaticci, l’arch. Luciano Alfano e l’arch. Carmela Angela Marziale) classificatosi al secondo posto. E se un architetto che ha perso la gara parla dei suoi avversari e del progetto in maniera assolutamente positiva aggiungendo anche che il Comune è stato civile e trasparante non si può fare altro, se vogliamo essere coerenti e corretti, che incominciare ad avere qualche dubbio sull’altrettanto trasparenza e civiltà di chi, invece, spara a zero in maniera preconcetta contro il cosiddetto ecomostro di Sassano. Da qui, in fondo, le motivazioni di condurre un’inchiesta giornalistica sul caso che, soprattutto in questo periodo elettorale, viene da molti affrontato in maniera strumentale e, forse, soltanto in chiave politica. Ma non è così che si deve parlare della vicenda che può essere discussa solo in termini tecnico-scientifici e non approssimativi come scritto sul social network FB: “”Un monumento all’elogio del brutto e dell’ignoranza, la cui vista crea un senso di nausea, nonché dello scarso senso di rispetto dell’ambiente”” senza alcun accenno allo sviluppo vero che la struttura di oggi avrà domani quando il progetto potrà essere completato. La motivazione della vittoria assegnata al gruppo di Manzolillo-Garone-Romano e Lapadula dice che “La soluzione architettonica si ritiene che tenga in debito conto degli elementi preesistenti con chiari riferimenti agli aspetti storici e che ben si inserisce nel contesto circostante sia per quanto riguarda il rapporto piano-volumetrico che per quanto attiene la sistemazione a verde che richiama, in chiave attuale, gli antichi orti sassanesi. L’idea progettuale è supportata da una analisi funzionale giustificativa della dislocazione e organizzazione delle funzioni e sono dettagliatamente descritti gli spazi e i volumi in relazione ai fabbisogni organizzativi nonché alle esigenze della collettività””. Bisogna, però, dire che forse il Comune non ha ben pubblicizzato il progetto e che non basta pubblicarlo sul sito web per spiegarlo in ogni dettaglio all’intera comunità. Una conferenza di servizi avrebbe probabilmente dissolto ogni perplessità senza offrire il fianco a strumentalizzazioni politiche del tipo: “”E’ incomprensibile come l’amministrazione comunale continui a lasciare inascoltati gli appelli dei cittadini sassanesi di fronte alla non condivisione del progetto per la nuova casa comunale”” (Cronache dM del 7 febbraio 2010). Ma qual è la vera storia della scelta politica e la genesi del progetto? Alla prossima puntata.
Quarta puntata
Per correttezza e per verità di cronaca, prima di andare avanti con l’esame del progetto della nuova casa comunale di Sassano, devo precisare anche un’altra cosa. In caso contrario rischierei di essere di parte, insomma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Al concorso di idee parteciparono sei gruppi di tecnici e tra questi c’era un gruppo che si classificò al quinto posto della graduatoria finale. Detto gruppo era capeggiato dal notissimo architetto Marino Borrelli di Napoli e tra i sei tecnici che lo componevano c’era anche un giovane ma già affermato ingegnere di Sassano “Nicola Calabrò”, figlio d’arte. Nell’immaginario collettivo della gente sassanese, almeno questa era l’indicazione emersa nel corso di quella cena di cui alla precedente puntata, lievitava il velenoso sospetto che per favorire il gruppo primo classificato si fosse penalizzato quello classificato al quinto posto e che, in compenso, per riparare l’ingiustizia l’Amministrazione Comunale avesse pensato bene di affidare la responsabilità della prevenzione del nascente cantiere al papà di Nicola, il conosciutissimo ingegnere Franco. Niente di più falso, una insinuazione di basso profilo, una diceria popolare, chiamatela come volete anche perché pur nella sua assoluta infondatezza riesce comunque a far serpeggiare il dubbio e il sospetto tra la gente comune. A chi attribuire una simile responsabilità, difficile dirlo; sta di fatto che la voce è circolata e che la stessa è stata artatamente strumentalizzata. Ho riferito questo aspetto della vicenda perché quando nelle precedenti puntate ho trattato il tema della sicurezza del cantiere chiuso che tutti vedono ho mancato di dire che la responsabilità dello stato in cui adesso versa non è da attribuire all’ing. Franco Calabrò che ha cessato, per contratto, il suo compito con la chiusura del cantiere. La responsabilità, quindi, ricade interamente sull’ufficio tecnico comunale di Sassano che, se non lo ha già fatto, deve rendere il cantiere assolutamente inaccessibile al fine di evitare gravi sanzioni anche di natura penale. E visto che mi sono intrufolato nel cantiere passo subito a raccontare come nasce l’intera vicenda. Tutto ha inizio nel Dicembre del 2000, quando il Comune di Sassano indice un bando di Concorsi di Idee per la “Costruzione della nuova Casa Comunale”. Il Bando all’art. 2 individuava il luogo – sul sito della vecchia Casa Comunale di Corso Umberto I° -, le problematiche progettuali e funzionali e stabilisce un costo massimo di costruzione da contenere in lire 2.600.000.000, ( c’era ancora la doppia valuta ) equivalenti ad euro 1.342.787,94. Al Concorso di Idee partecipano sei gruppi che espongono la loro idea della Casa Comunale, tra queste viene scelta la proposta vincente, quella contraddistinta dal motto SPIRITO NUOVO TRA ANTICHE MURA: già nella “frase” c’era “in nuce” (cioè in embrione) la volontà di contemporaneità dell’opera. La proposta ( idea ) vincente prevedeva un costo di costruzione di euro 1.223.862,72 (per un totale di euro 1.840.000,00 comprensivo di Iva e spese generali ). Nel settembre del 2002, in occasione della venuta della principessa Costanza alla manifestazione del Settembre al Borgo, l’allora Amministrazione Comunale chiede al gruppo di progettisti risultato vincitore di esporre la proposta per la “Costruzione della Casa Comunale” in uno spazio appositamente messo a disposizione in un cortile interno di un palazzo storico su Corso Umberto I°, lungo il percorso della manifestazione. Molti si fermavano a guardare i disegni, qualcuno chiedeva il perché della scelta di questo sito; alla domanda si ribadiva che era una scelta fatta dall’Amministrazione per dare un segnale forte, quello di riportare la Casa Comunale, un’infrastruttura importante, nel centro storico, nel luogo dove era sempre stata, questo nella speranza che tale scelta potesse invertire il fenomeno di abbandono dello stesso centro storico. Infatti, anche se non sono tecnico, so benissimo che sono gli edifici pubblici che uniscono e concretizzano la condivisione urbana e che le istituzioni sparse sul territorio non costituiscono un vero luogo urbano. La tanto decantata “agorà” la si realizza soltanto così. In seguito al Concorso di Idee viene affidato, al gruppo redattore della proposta selezionata, l’incarico di redigere un progetto definitivo al fine di rendere fattibile l’idea con relativo costo di costruzione che viene stabilito in euro 1.437.000,00 ( per un totale di euro 1.840.000,00 comprensivo di Iva e spese generali; e siamo già nel 2003 ). L’allora disponibilità economica non copriva l’intero importo per cui venne fatta la scelta di redigere un primo stralcio esecutivo che riguardava la realizzazione della sola struttura per un costo di costruzione di euro 289.924,61 ( per un totale complessivo di euro 400.000,00 compreso Iva e spese generali ). Nel dicembre 2003 hanno inizio i lavori che procedono non sempre con regolarità e con tutte le difficoltà legate alla logistica di cantiere, dovute alla difficile situazione orografica, si arriva comunque ad ultimare questo primo stralcio esecutivo. E siamo verso la fine del 2007.
Quinta puntata
Il gruppo progettista vincitore non fa quasi in tempo a presentare la documentazione per il secondo stralcio (verso la fine del 2008) che la struttura in cemento armato, il famigerato scheletro bianco, viene proiettato sul palcoscenico nazionale grazie (o a causa!!) ad una fotografia in un concorso fotografico; bellissimo titolo per una fotografia, ma pur sempre una fotografia che ferma l’immagine allo stato di fatto ma che non trasmette tempi e compiutezza di un lavoro progettuale. Insomma su una foto si può discutere e strumentalizzare quanto si vuole, ma deve rimanere fine a se stessa, non di più. Scheletro è anche uno dei modi per definire la struttura nuda. Infatti è uno scheletro a cui manca la “pelle” che ne definisce aspetto e carattere. La “pelle” è costituita dai materiali con cui “vestire” lo scheletro: la pietra, nelle sue varie declinazioni: liscia – porosa – irregolare – a lastre – grigia – gialla ecc.., per il basamento, il mattone e l’intonaco nelle sue diverse colorazioni per i prospetti sono il legame con il costruito esistente, mentre il vetro che copre gli spazi connettivi –metafora del vecchio vicolo che collegava via Meridionale con Corso Umberto I° – e la lamiera – color rame ossidato – in copertura che ne denuncia l’appartenenza alla contemporaneità. In ultima analisi cosa si è fatto se non cercare di riconnettere il tessuto urbano, dopo una trasformazione avvenuta nel corso degli anni e per varie cause (non ultimo il terremoto!!), con l’inserimento di un’infrastruttura importante. Quale era la richiesta del concorso? Pensare ad una infrastruttura da destinare a Comune in un sito ben preciso. Sono state date ben sei diverse “soluzioni” da 6 gruppi, frutto di un confronto interno tra diverse professionalità ed esperienze; in una sola cosa le sei “soluzioni” si possono considerare simili: nella “dimensione” della infrastruttura proposta. Infatti bisognava essere ben consapevoli, nell’individuare il sito di edificazione in quell’area, che una struttura destinata ad accogliere le funzioni per un moderno Comune non poteva essere “mascherata” con l’intorno adiacente. Tutto questo ha scatenato un putiferio di polemiche; da parte dei “critici” (quanti e chi sono ?) è mancata l’onesta intellettuale e un minimo di strumenti per un confronto sereno sulla questione. Mi chiedo: perché solo ora tutto questo interesse per una struttura in fase di completamento? Necessitava probabilmente creare il polverone, si era sotto elezione: perché non sfruttare la premiazione ad un concorso fotografico per ecomostri per far vedere gli sprechi del centrosinistra? Dove sta’ la responsabilità dei progettisti se un’opera non viene ultimata per la difficoltà di reperire le economie necessarie? E dove stanno le responsabilità dell’Amministrazione se, come tutti sanno, viviamo un lungo periodo di recessione anche a livello globale? Il punto è che si sono abbandonati i centri storici perché vecchi e sono stati mortificati e trasformati con la ricostruzione post-terremoto; dov’erano i don Chisciotte di facebook quando si “tagliavano” le mensole di cornicioni storici per far posto a sopraelevazione, quando si demoliva per ricostruire in cemento armato, quando venivano fatte tante piccole modifiche per adattare il vecchio costruito alle esigenze abitative moderne, quando si scappava dai centri storici perché rappresentavano il vecchio e ..non posso arrivarci con la macchina ..oggi, quando si è gettato via il bambino con l’acqua sporca. Ci sono sempre, le ossessioni donchisciottesche quando si fa una scelta, criticabile quanto si vuole ma pur sempre una scelta della stragrande maggioranza, tesa a ricucire il tessuto urbano attraverso un progetto contemporaneo. E tutti, invece di scegliere la strada del confronto politico, pronti a gridare allo scandalo e offendere i progettisti perché con il cemento si deturpa il centro storico e si realizzano spazi alienanti . Bisogna spiegare a questi imbalsamatori che il recupero dei centri storici non si ha guardando vecchie foto dicendo come era bello una volta, ma attraverso un diverso approccio culturale da parte anche dei cittadini che lo vivono e sono proprietari dell’edilizia storica. Chi si nasconde dietro l’immagine di don Chisciotte dovrebbe sapere che le sue ossessioni servivano a criticare gli intellettuali del momento, incapaci di confrontarsi con il nuovo. Siamo un paese conservatore dove una radicata paura del nuovo impedisce soluzioni alternative a quelle conosciute ed obsolete. Infatti qui l’oggetto del contendere conta poco, è un mero pretesto ideologico. La verità è che si ha paura di qualsiasi novità e ci si rifugia in quello che si conosce. Oggi c’è una fobia per l’architettura contemporanea che non si vede il altre parti. La retorica è il grande sport nazionale dopo il calcio. Ma la retorica è la tomba di tutto, dell’architettura come di ogni altra attività. Quando poi, essa, si sposa alla nostalgia delle cose passate siamo davvero alla necrofilia. Alla prossima, e ultima, puntata.
Sesta e ultima puntata
E veniamo alle voci, ai rumors di fantomatici cedimenti della struttura, di taglio di qualche piano ecc. Le voci sono antiche quanto la storia umana. Siamo immersi quotidianamente in questi “rumori” di fondo: facebook docet. Dal pettegolezzo falso e malevole di chi vuole ferire, alle indiscrezioni pilotate, le falsi voci possono essere distruttive quando sono orchestrate per scopi altri. Come dicevo prima ci vuole onestà intellettuale quando si esprimono giudizi nel merito. Non abbiamo, diceva Mario Giudice, la cultura del “concorso di idee”. Un “concorso di idee” prima di essere un confronto tra diverse proposte è un confronto, sia dialettico che di esperienze, interno al gruppo dei professionisti che elaborano il “tema” dato. Questo confronto si avvia, come primo atto, recuperando materiale storico del luogo per capirne l’evoluzione poi con un sopralluogo in sito dove ognuno si rende conto della “dimensione fisica” del luogo. E proprio questo ha fatto il gruppo di tecnici ed è su questo che, semmai, bisogna discutere con prove alla mano. Chi vuole potrebbe ancora dare il suo contributo in positivo per migliorare, se c’è da migliorare, e per preservare se c’è da preservare. La sterile strumentalizzazione non porta da nessuna parte e pone i suoi ispiratori in una condizione di chiaro disagio se non in grado di dialogare anche sul piano tecnico e non soltanto su quello politico, che è e resta di primo piano. In occasione della pesante trasformazione urbanistica resasi necessaria per l’allargamento del Corso Umberto I° si è proceduto alla demolizione della struttura della vecchia Casa Comunale e di altre strutture danneggiate da sisma del 1980, “squarciando” il tessuto urbano e interrompendo la continuità del costruito e interrando il percorso di collegamento tra via Meridionale e Corso Umberto. Il progetto del nuovo in un contesto esistente obbliga di interrogarsi sulla complessa ed irripetibile singolarità del costruito, essere capaci di vedere ed interpretare l’alfabeto dei segni per dare corpo ad un progetto che si integri con l’esistente senza penalizzare le esigenze funzionali del nuovo manufatto. Credo decisamente che quella del gruppo “Spirito nuovo tra antiche mura” sia stata una ricerca tesa ad individuare quei “segni” e quel “carattere” per dare forma tridimensionale alla spazio chiesto dalla nuova funzione. Cliccare per credere, dovrei dire a questo punto dell’inchiesta, ovvero visitate il sito web e capirete senz’altro di più, non per convincervi della bontà delle mie riflessioni ma per indurvi ad una serena presa di posizione che potrà anche essere dissenziente, ma solo dopo aver analizzato e compreso. Altrimenti è meglio parlare d’altro. Insomma un progetto non può essere valutato guardando solo lo scheletro di cemento armato; un progetto, che piaccia o meno, può essere giudicato soltanto studiandolo nella sua interezza e questo, credo, hanno fatto in piena libertà e responsabilità i componenti la commissione giudicatrice (Ing. Michele Rienzo, Arch. Giulio Niglio e il geom. Francesco Esposito) che hanno verosimilmente guardato un pò più in là del loro naso giudicando al di sopra delle amicizie e dei compromessi politici. Ma a conclusione di un’inchiesta giornalistica, così come l’ho annunciata fin dalla prima puntata, è necessario anche che la vicenda venga rivisitata dal punto di vista dell’immagine proiettata verso l’esterno e del danno che la stessa immagine della comunità, nel suo complesso, possa aver subito a causa del cosiddetto “ecomostro di Sassano”. L’argomento in discussione, tra chiacchiere e veleni, è soltanto politico in assenza di qualsivoglia inchiesta di natura giudiziaria. Quindi si sta parlando di una scelta politica fatta da una vasta maggioranza che, come tale, va comunque rispettata anche se non condivisa. E a conti fatti mi sembra che la scelta politica non sia proprio così campata in aria come qualcuno vuole strumentalmente accreditare nell’opinione pubblica; oltretutto ce lo dice con chiarezza il già citato Mario Giudice quando dichiara che “il Comune di Sassano ha attuato la procedura del concorso per l’acquisizione di idee finalizzate alla realizzazione della nuova Casa Comunale lo ha fatto in forma molto civile fornendo esiti e motivazioni a tutti i partecipanti” e per converso lo stesso giudizio può essere facilmente ribaltato anche sulla commissione giudicatrice che dunque avrebbe operato in perfetta buona fede non favorendo e non penalizzando nessuno dei concorrenti. Mi pare di capire, infine, che l’Amministrazione Comunale all’epoca dell’aggiudicazione del concorso si sia comportata in maniera più che trasparente. E quale migliore risultato una comunità può chiedere all’Amministrazione che ha eletto e deputato a fare scelte politiche ed anche urbanistiche se queste favoriscono tutti senza privilegiare nessuno in particolare. Sto parlando, ovviamente, soltanto del concorso di idee per la costruzione della nuova Casa Comunale.
Considerazioni finali sul cosiddetto Ecomostro – I resti di un progetto finito e mai realizzato
Le considerazioni sull’ecomostro, anche dopo l’arrivo di “Striscia la Notizia” e le polemiche che ne sono seguite, le vorrei lasciare agli amici lettori. In questo racconto a puntate ho rifatto la storia politico-tecnico-ambientale di una struttura che se guardata sulle carte è assolutamente splendida, vista così con i soli pilastri di cemento armato sembra davvero una brutta cattedrale nel deserto. Oltretutto la politica non ha saputo neppure attrezzare, così come aveva promesso ai progettisti, il parcheggio in loc. Fontanella e non ha mai avviato i lavori di allargamento di Via Meridionale al fine di consentire il normale deflusso veicolare da e per il presunto municipio.