TANGENTOPOLI: il clima prima del cataclisma giudiziario (parte seconda)

 

Aldo Bianchini

Il vecchio palazzo di giustizia di Salerno che nei primi anni '90 giganteggiò sul sistema di potere politico dell'epoca fino a sfasciarlo completamente

SALERNO – Nella precedente puntata abbiamo cominciato ad analizzare quale fosse il clima che si viveva in città e che lentamente aveva portato l’opinione pubblica alla netta contestazione del “sistema di potere politico contiano” che aveva occupato, in forma ossessiva, tutti i centri di comando di Salerno capoluogo e della sua intera provincia; pochissimi i bottoni di potere rimasti nelle mani della famelica Democrazia Cristiana e degli altri componenti di quello storico pentapartito: DC, PSI, PLI, PSDI e LIBERALI.

Il PSI contiano primeggiava in tutto, soprattutto sul piano delle idee progettuali concrete.

Era il momento delle grandi scelte strategiche per la necessaria pianificazione della destinazione urbanistica da dare non solo al centro urbano ma a tutto l’interland per spingerlo verso il sogno della famosa, e per certi versi famigerata, area metropolitana che potesse soltanto riequilibrare, e mai contrastare, il dislivello esistente e non facilmente colmabile con la più grossa e popolosa area metropolitana di Napoli.

Un antico sogno, quello dei salernitani; un sogno sempre castigato e costretto alla rapida ritirata sia dall’intrinseco strapotere di Napoli che dalle scelte miserevoli dei politici che fino a quel momento si erano affacciati sulla scena della nostra città e dell’intera provincia per allinearsi e sottomettersi rapidamente ai voleri dei napoletani prima e degli avellinesi poi.

Spunta, così, il laboratorio di sinistra che, grazie alle felici intuizioni di Carmelo Conte –  novello leader salernitano, balza in poco tempo agli onori delle cronache nazionali.

Una stagione progettuale senza precedenti prende corpo nel capoluogo e nell’intera provincia e spinge verso la creazione dell’area metropolitana salernitana: geometri, ingegneri, architetti, urbanisti di fama locale e nazionale vengono letteralmente catapultati al centro di questa grande intuizione con le proposte più disparate e di grande qualità tecnica per il necessario rimodellamento non solo del capoluogo ma dell’intero territorio provinciale.

Dal 1987 al 1991 vengono incaricati ed impegnati progettualmente circa 230 tecnici tra architetti, urbanisti, ingegneri e semplici geometri. Solo per ricordarne alcuni: Mario e Vincenzo Adinolfi, Luigi Adriani, Franco Amatucci, Alberto Barbagallo, Giancarlo Barbaro, Silvana Genoveffa Buffo, Gennaro Calabritto, Augusto Cannella, Vincenzo Capaldo, Giovanni Carpentieri, Annibale Casilli,  Bruno Centola, Alfonso Coppola, Ennio Cocca, Alberto Cuomo, Ciro Cuozzo, Gennaro D’Alessio, Mario Dell’Acqua, Ercole Di Filippo, Raffaele Di Giuda, Angelo Di Rosario, Gaetano Donadio, Emilio Fortunato, Raffaele Galdi, Anna Gallo, Carmine Gambardella, Nicola Massimo Gentile, Antonio Giannattasio, Roberto Giannotti, Vincenzo Iannizzaro, Domenico Immediata, Rosario Lambiase, Sergio La Mura, Vincenzo Lanzotti, Gianluigi La Rocchia, Giorgio Cesare Lucchese, Alessandro Macchi, Vincenzo Marone, Antonio Marra, Cosmo Mastandrea, Paolo Mazzucca, Carlo Mustacchi, Francesco Ottobrino, Marco Petillo, Enrico Petti, Alfredo Plachesi, Ciro Quazzo, Vincenzo Ranieri, Ernesto Ricciardi, Guido Roma, Paolo Santoro, Giancarlo Schiavone, Aniello Sessa,  Carmine Spirito, Giuseppe Tolve, Ciro Venturelli, Mario Villani, Armando Zambrano e Virgilio Zinno.

Manca un piccolo tassello per la definitiva attuazione dell’idea progettuale e per la successiva fase esecutiva di tutte le opere pubbliche necessarie.

Quel tassello passa alla storia con il nome di “delibera 71” approvata nel corso dell’anno 1989 dall’Amministrazione laica e di sinistra, con sindaco Vincenzo Giordano, che governa la città capoluogo. La delibera consiliare di fatto blocca all’istante il dilagare della speculazione edilizia che da troppi anni e senza alcun controllo sta devastando il territorio con una colata di cemento che non trova precedenti nella pur millenaria storia di Salerno.

Ma il blocco edilizio e la fissazione degli standard urbanistici cozza, inevitabilmente, con i corposi interessi economici delle cosiddette grandi famiglie salernitane che sono costrette a sottomettersi ad un progetto politico troppo laico che non ammette condizionamenti o compromessi di sorta.

Insomma i grandi investitori privati si trovano di fronte all’ineluttabilità di un progetto che non possono contrastare e neppure contribuire a realizzarlo; devono, cioè, soltanto investire o affogare.

Forse proprio in questo passaggio non secondario si annida l’unico grande e irreparabile errore dell’idea progettuale del leader socialista Carmelo Conte che esercita a tutto tondo un potere politico assoluto, potere che è cresciuto soprattutto e, forse, solo grazie al volere imprenditoriale senza il più vasto consenso popolare.

Ma il laboratorio ormai è partito, non si ferma e partorisce i grandi progetti di opere pubbliche.

(continua)

 

 

 

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