scritto da Luigi Gravagnuolo 8 Ottobre 2022
per Gente e Territorio
Il momento è cruciale, Russia ed Ucraina e, con esse l’Europa e l’umanità intera, sono di fronte a un bivio: l’apocalisse o il tavolo della pace. O forse è un trivio non un bivio, come vedremo.
Negli ultimi giorni, parallelamente ai successi della controffensiva ucraina, che sta liberando giorno dopo giorno sempre nuovi territori dagli invasori, ci sono stati da parte dell’Occidente alcuni segnali da decrittare con attenzione.
Il primo è stato lanciato dal potente Elon Musk col suo piano di pace in quattro punti. Gli Ucraini devono molto, ma davvero molto al patron della Tesla. Se prima hanno resistito all’aggressore ed ora stanno ricacciando indietro gli invasori, in buona parte lo devono a lui. Musk non ha mancato di ricordarglielo in maniera esplicita: “I costi sostenuti da SpaceX per rendere funzionante e sostenere Starlink in Ucraina si aggirano finora sugli 80 milioni di dollari. Il nostro impegno per la Russia ammonta a zero dollari”. Come a dire: guardate che, di fronte alla vostra eventuale ostinazione, sono pronto a negarvi il supporto che vi ho concesso finora e, magari, a fornirlo a Putin o anche a Putin. I suoi quattro punti sono indubbiamente difficili da accettare per Kiev; tra l’altro comprendono il riconoscimento formale dell’appartenenza della Crimea alla Russia e lo svolgimento di un nuovo referendum nelle quattro oblast annesse dal Cremlino, sia pure stavolta sotto la supervisione dell’ONU. Apriti cielo, la risposta ucraina è stata sprezzante: “Fottiti!” Ma Zelens’kyj ed i suoi possono continuare la guerra sul campo senza il sostegno dei satelliti di Musk?
Neanche passate poche ore e dalla Casa Bianca è arrivata una sorta di avvertimento, se non altro un segnale di insofferenza nei confronti del governo ucraino. La Cia ha fatto sapere che Darya, la figlia di Dugin – il Rasputin del Cremlino dei giorni d’oggi – è stata assassinata da sicari ucraini. Ciò mentre finora Zelens’kyj ha sempre negato qualsivoglia responsabilità ucraina nell’omicidio della ragazza. Non è stato proprio un segnale di amicizia da parte della Cia; in guerra queste cose, pur se si sanno, non si dicono. Ma il suo senso è evidente: cari amici, cominciamo a stancarci di accettare tutte le vostre azioni autonome e non concordate con noi… Monito rivolto a Zelens’kyj , com’è del tutto evidente.
Terzo segnale, Joe Biden, che a maggio chiedeva che Putin non fosse neanche invitato alla riunione di novembre dei G20 che si terrà a Bali in Singapore, e addirittura che i G20 ne decretassero l’estromissione temporanea dal proprio consesso, ora dice che si sta lavorando perché in occasione della riunione di Bali possa esserci un faccia a faccia diretto tra lui e Putin.
Infine Antony Blinken, il Segretario di Stato degli USA, ha appena dichiarato ufficialmente che gli Stati Uniti sono pronti a cercare una soluzione diplomatica con la Russia, anche se ha contestualmente puntualizzato che però Putin non è disponibile. Nulla ha però detto sulla decisione di Zelens’kyj , supportata da un decreto formale del Consiglio di Sicurezza di Kiev, di rifiutare ogni dialogo con la Russia finché il suo Presidente sarà Putin.
Certo, parallelamente il Presidente USA mette in guardia il mondo dal rischio di un “Armageddon nucleare” se non si ferma Putin e quest’ultimo non fa nulla per smentire nei fatti questo allarme, però l’impressione è che sotterraneamente – com’è normale e giusto che sia – qualcosa si stia muovendo. Lo attesta anche il ritorno in campo come mediatore di Erdogan. Dialogando per telefono col leader russo, nel ribadire la disponibilità della Turchia di contribuire alla ricerca di una soluzione pacifica, gli ha detto: “Amico mio, la peggiore pace è sempre meglio della guerra, pensaci!”
Il mondo dunque sembra stare davanti a un bivio, la pace o l’apocalisse. Ma nell’incipit di questo pezzo dicevamo di un trivio. Difatti c’è una terza possibilità: siamo ormai ad ottobre inoltrato, tra poco sui campi di battaglia caleranno neve e gelo e i movimenti dei carri e delle truppe leggere si faranno molto più complicati; e se il generale inverno congelasse anche il furore del conflitto rinviando la resa dei conti a primavera?