Aldo Bianchini
SALERNO – Il racconto della tangentopoli salernitana, a distanza di trent’anni, continua. E continua, facendo, ovviamente, salti in avanti e indietro nel periodo di tempo che va dal 12 febbraio 1992 (uccisione dei carabinieri a Faiano) al 2 maggio 1994 (scarcerazione dell’ing. prof. Franco Amatucci); in tanti sussurrarono che Amatucci avesse confessato tutto, quando invece non aveva svelato niente e la tangentopoli incominciò a battere i primi tremendi colpi a vuoto.
Non bisogna, però, dimenticare che nell’anno 1992, dall’uccisione dei carabinieri (di cui ho scritto all’inizio un preciso capitolo) in poi c’era stato un crescendo di attesa ansiosa nell’immaginario collettivo, attesa famelica iniziata, in verità, subito dopo il grande successo elettorale del Partito Socialista nelle amministrative comunali del 1990.
Si respirava un’aria pesante, da più parti si attendevano inchieste giudiziarie e capovolgimenti radicali di quella che sembrava essere una forma diffusa di corruzione, di malcontento, di rivendicazione in un clima da ultima spiaggia; dunque, dopo l’uccisione dei Carabinieri a Faiano che, secondo qualcuno, quella sera avevano incautamente scoperto un summit itinerante sulle colline picentine tra politica e camorra, e dopo il sequestro dell’ufficio tecnico Galdi/Amatucci, delle violenti polemiche che ne seguirono, e dei clamorosi arresti della Fondovalle Calore ecco arrivare da parte della magistratura la classica ciliegina sulla torta che autorizzava tutti a pensare e credere che il PSI e gli altri partiti salernitani dell’arco costituzionale (DC, PRI, PLI e PSDI) non erano altro che un comitato per il malaffare.
Insomma il clima era pesante ed in quel clima, in data 21 settembre 1992 il gip Mariano De Luca nel rigettare la richiesta di scarcerazione per motivi di salute dell’ingegnere Raffaele Galdi (arrestato il 23 luglio 92 per la Fondovalle) nella sua ordinanza scrive:
“Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta”.
Dunque il 21 settembre del 1992, esattamente trent’anni fa, un magistrato di alto profilo descriveva nel contesto di un’ordinanza la città di Salerno alla stregua di un antico borgo medievale nel quale la legge del più forte riduce al ruolo di semplici e collusi vassalli tutti gli altri, dai professionisti stimati ai rappresentanti delle varie categorie sociali.
Insomma secondo la linea di pensiero della magistratura di quel tempo tutta la città era sommersa sotto una coltre molto spessa di fango e di corruzione che non aveva più gli strumenti per un’analisi obiettiva della drammatica situazione che non poteva più continuare ad essere.
Quel periodo storico era politicamente dominato da Carmelo Conte, Paolo Del Mese e Gaspare Russo; e considerato che “la storia si ripete” oggi sento dire le stesse cose contro il sistema di potere politico in auge da trent’anni (gestito incontestabilmente da De Luca) e che dall’ottobre 2021 è stato sottoposto ad una nuova e serrata inchiesta giudiziaria da parte della magistratura di oggi denominata “Sistema Salerno”.
Siccome io non ho mai creduto che quel sistema socialista fosse corrotto fino al punto indicato dai magistrati, inviterei con garbo tutti i censori di oggi (molti dei quali furono protagonisti di quel sistema) a riflettere prima di parlare a vuoto e sparare sentenze.