da Michele D’Alessio
Sabato pomeriggio 10 settembre 2022, con inizio alle ore 19.00, a Caselle in Pittari (SA), nell’aula consiliare del Municipio, si terrà una cerimonia particolare, in onore al fotografo Antonio Loguercio detto il Sistino: “Casellesi nelle lastre fotografiche di Antonio Loguercio”. È una iniziativa organizzata e fortemente desiderata da tutti i figli del ex maestro di Sistino (Piccolo sax) per evidenziare la poliedricità del papà. All’evento interverranno, per i saluti, il dott. Rocco Ettorre, presidente dell’associazione “Valorizziamo Caselle”, il dott. Giampiero Nuzzo, sindaco di Caselle in Pittari, il dott. Rosario Petrosino, direttore del MUDIF, la signora Luigina Loguercio e il signor Giuseppe Loguercio, figli di Antonio Loguercio e l’artista Giulio Greco. I lavori coordinazione e di moderazione sono stati affidati al professor Pietro Loguercio. Durante il dibattito ci sarà la proiezione delle immagini tratte dalle lastre fotografiche perdute e ritrovate, e che gli esperti del MUDIF restaureranno e archivieranno. La dimostrazione di come da uno scatolone riposto in un angolo angusto del garage possa invece contenere la storia preziosa di una Nazione. “… Mio padre faceva di tutto in paese. Falegname, orologiaio, operaio per la realizzazione di una diga. E anche fotografo – ci riferisce la figlia Luigina Loguercio insieme ai suoi fratelli e come racconta anche a Davide Speranza responsabile rassegna stampa MUDIF– mio padre era anche un musicista. Suonava il sestino, il clarinetto piccolo. Poi si trasferì a Sassano, per lavorare come tecnico caldaie specializzato nel grande caseificio “Latte Silla” di Achille Frasca, che prendeva il nome dalla frazione del paese. Lì faceva il conduttore di caldaie e si occupava di tutte le cose tecniche, aveva il patentino, documento tecnico necessario per l’epoca. Per questo motivo, a Caselle in Pittari ci conoscono come i figli del “sistino”, mentre a Sassano ci chiamano i figli di “Mast’Antonio”. Nostro padre era nato nel 1925, da una famiglia umile e in un’ambientazione contadina con nucleo casereccio unico (tutti i familiari stretti vivevano nella stessa casa)…” Durante la seconda guerra e dopo la guerra non c’erano fotografi in paese e dintorni, cosi, il giovane Antonio Loguercio inizia da autodidatta a occuparsi di fotografia, realizzando scatti per i suoi compaesani, alle cerimonie, a intere famiglie. Il materiale si accumula, l’intero borgo vuole farsi fotografare da Antonio. Poi questo materiale cade nella dimenticanza. «Non sapevamo di avere delle lastre su vetro così importanti – continua la signora Loguercio – il nostro è stato un viaggio nella storia di mio padre e del nostro territorio, un viaggio iniziato tempo fa. Siamo venuti a conoscenza della sua grande passione perché l’amico Giulio Greco, un artista di Caselle in Pittari, che si trasferì in Toscana, ci mandò alcuni pannelli composti con le foto di mio padre. Lì ho scoperto gli scatti di mia madre, mai visti prima. Giulio conosceva papà, e da lui aveva ricevuto in dono i vetrini. All’inizio voleva donare il materiale a un istituto. È passato del tempo, poi nel febbraio 2022, in televisione mi sono imbattuta nella trasmissione di Rai3, “Tgr Mezzogiorno Italia” che raccontava la realtà del MUDIF e del museo della fotografia. Non sapevamo se queste cose avrebbero destato interesse».
Il materiale fotografico composto da lastre, rimaste all’interno di alcuni scatoloni senza attenzione e per lungo tempo, per cui sono state attaccate in più punti da muffe. Fotografie che ritraevano persone di famiglia, ma anche del paese. “,,, All’epoca era andato via il fotografo del luogo e papà che si interessava di fotografia ne prese il posto – rivela Luigina – mi ricordo che metteva un lenzuolo davanti alla porta di ingresso, a mo’ di sfondo, sul quale la persona veniva immortalata. Bisogna intendere che all’epoca molti erano emigrati in America, così queste foto venivano inviate ai parenti all’estero. Erano fotografie di signore con bambini, lavoratori, gruppi di persone, anziani, giovani, anche di morti che venivano ripresi a bara aperta. Una testimonianza storica unica e importante. Altro materiale sarà consegnato come fondo Loguercio-Greco. Quella di Caselle, del Cilento e del Vallo di Diano sono terre a forte carattere agricolo. La gente andava a lavorare sul dorso dell’asino. Le scarpe, che allora chiamavano “zanvitti”, e venivano cucite con un pezzo di cuoio o con la gomma delle ruote, erano poi legate intorno alla caviglia con lo spago. Nella mia mente ho molte immagini vive di questo tipo. Ma le fotografie di mio padre mi hanno emozionato. Ecco perché parlo di viaggio nel tempo. E poi ho rivisto gli occhi meravigliosi di mia madre». Un percorso sul filo dell’antropologia che ha destato interesse e curiosità nell’artista Giulio Greco, custode delle lastre perdute.