Aldo Bianchini
SALERNO – Negli oltre trent’anni dall’inizio della rivoluzione dei magistrati, passata alla storia come “tangentopoli”, è giusto continuare a ricordare le tappe e le date fondamentali della cosiddetta “tangentopoli salernitana”, nata non a caso e non per caso sull’opera pubblica più rappresentativa dell’epoca: la strada a scorrimento veloce “Fondovalle Calore”.
Siamo nel 1992 e il potere della giunta comunale laica e di sinistra, capeggiata dall’allora sindaco Vincenzo Giordano, sovrastava in maniera forse anche asfissiante l’intera comunità salernitana, non solo della città capoluogo ma anche di tutta la provincia. Per i vincitori socialisti delle elezioni del 1990 con un clamoroso 33% si trattava dell’esercizio di un normale diritto scaturito dall’esito elettorale, per i pochi ma agguerriti avversari c’era invece prevaricazione e strapotere strafottentemente esercitato ad ogni angolo di strada.
Da tempo sui marciapiedi di Corso Vittorio Emanuele a Salerno, anche per via dei contrasti politici nati in seno al CdA della Comunità Montana Alburni, non si faceva altro che parlare della “Fondovalle Calore”, una strada a scorrimento veloce che nell’ottica dei tecnici socialisti doveva innanzitutto collegare più velocemente tutte le comunità del Calore con la piana del Sele e con l’autostrada ad Eboli, per poi continuare con due bretelle ad hoc dalla zona Magliano-Piaggine verso Vallo della Lucania e Atena Lucana. Un riammagliamento stradale straordinario che avrebbe potuto, poi, evitare anche i lavori costosissimi per l’ampliamento della Sa-RC tra Eboli e Polla.
Il dominio socialista su quelle scelte era chiarissimo, e come è accaduto in questi ultimi tre decenni ed oltre con l’epopea deluchiana era difficile contrastare quelle scelte che pochi avversari giudicavano scellerate ed anche piene zeppe di tangenti per l’enorme quantità di denaro pubblico da investire, anche grazie alla posizione di ministro per le aree urbane dell’on. Carmelo Conte.
Su questi eccessi di scontri politici si infilava, ovviamente, la magistratura che grazie ad appositi esposti (alcuni addirittura pilotati dai servizi segreti pesantemente coinvolti e dalla stessa magistratura) agguantava la grande occasione della vita per spezzare l’egemonia socialista.
Anche chi, come me, ha un passato e un presente da socialista, non può non riconoscere che all’epoca il potere contiano era asfissiante e che proprio quel modo di fare è storicamente da annoverare tra le cause della successiva inevitabile disfatta; una disfatta sorretta, è bene ricordare, dal clima di terrore creato intorno al Partito Socialista in tutta Italia.
Ma più che la strada a scorrimento veloce la materia del contendere era rappresentata da due ottimi tecnici: gli ingegneri Franco Amatucci e Raffaele Galdi, socialisti convinti, che gestivano lo studio tecnico associato più accorsato che questa città possa ricordare; i due, molto osteggiati anche nelle file socialiste, vennero definiti “compassi d’oro” per la loro inattaccabile vicinanza al ministro Conte e per le innumerevoli opere pubbliche che venivano a loro affidate per la progettazione.
La storia, quindi, parte proprio da lì; difatti tra il 1990 e 1991 gli ispettori dello Scico-Secit della Guardia di Finanza piombarono a Salerno per setacciare da cima fondo soltanto quello studio tecnico; si narra che i rapporti conclusivi dell’ispezione furono illegittimamente trafugati dai computer centrali della GdF e trasferiti nelle mani più sicure della Procura della Repubblica di Salerno che, con il pm Michelangelo Russo, cominciava a muoversi contro il PSI di Conte. La narrazione di quei momenti fissa il passaggio dei documenti in un incontro segreto tenutosi a Salerno in Via SS. Martiri tra un PM, un giornalista, la vice zarina dei servizi (nativa di Agropoli) e un uomo dell’apparato politico salernitano. L’incontro venne immortalato di nascosto con alcune fotografie, ma questa fetta di storia è lunga e coinvolse pesantemente anche il quotidiano Il Mattino (direttore Pasquale Nonno); fotografie che sono sparite nel nulla e Nonno dichiarò davanti al PM che erano state smarrite durante un trasloco redazionale. Quindi le foto esistevano ed erano, in un primo momento, depositate nell’archivio della redazione salernitana de Il Mattino.
Comunque l’interesse è concentrato sullo studio tecnico Amatucci-Galdi che allora si trovava al Parco Arbostella; è l’alba del 16 aprile 1992, giovedì, quando gli uomini della GdF di Salerno, agli ordini del pm Russo, piombano nello studio tecnico e sigillano i locali. Nella stessa mattinata vengono anche effettuate severe e radicali perquisizioni nelle rispettive abitazioni di Amatucci (dove accade un fatto significativo che mi accingo a raccontare) e di Galdi poste sempre al Parco Arbostella.
Il fatto significativo: Nella tarda mattinata del 16 aprile 1992 il pm Michelangelo Russo con due uomini della GdF piomba nell’appartamento in cui vive, all’Arbostella a poche decine di metri dallo studio, l’ingegnere prof. Franco Amatucci con la famiglia. Il tecnico non è in casa e la moglie è al lavoro di medico anestesista presso la Torre del Cuore; c’è la suocera dell’ingegnere che resta stupefatta per l’irruzione dei tre uomini. Breve giro di telefonate e poco dopo ecco apparire Amatucci che trova il pm Russo seduto sul divano buono di casa intento a leggere un quotidiano mentre i due finanzieri stanno perquisendo dappertutto. Alla domanda dell’ingegnere il magistrato risponde brutalmente: “Tiri fuori i 400 milioni della sua parcella per la progettazione della Fondovalle Calore e mi consegni le chiavi dell’elicottero e della Ferrari” e parafrasando il già mitico Antonio Di Pietro aggiunge lapidariamente: “Quei soldi, l’elicottero e la Ferrari sono nostri”.
Franco Amatucci spesso mi raccontava di quella mattina di terrore e sempre aggiungeva una sua considerazione; per lui quella mattina il PM Russo, con quelle richieste stravaganti, non stava facendo altro che scimmiottare quanto era accaduto il 17 febbraio 1992 a Milano con Antonio Di Pietro che rivolto all’ing. Mario Chiesa aveva pronunciato quella storica frase: “Ingegnere quei soldi sono nostri”.
Insomma soltanto due mesi dopo Milano anche a Salerno c’era qualcuno che imitava Di Pietro; forse perché portatore della sua passata esperienza in seno alla Procura meneghina.
E i 400milioni di lire, l’elicottero e la Ferrari ? La storia finì in una bolla di sapone. Il prof non aveva mai percepito i 400milioni e men che meno possedeva un elicottero ed una Ferrari, ma un modesta auto scoperta acquistata al mercato dell’usato.
Tutto questo per significare che Tangentopoli nella sua orrenda deflagrazione portò con se ogni tipo di accusa preventiva; tanto dall’altra parte degli schermi televisivi c’era un Paese travestito da farneticante giustiziere.
Clamorosa l’eco mediatica ma anche la caccia ai socialisti da parte di un’opinione pubblica rancorosa e vendicativa; si pensa a tutto ed al contrario di tutto, anche che nello studio sequestrato era stato rinvenuto un timbro del comune di Salerno che secondo gli inquirenti era servito a legittimare documenti amministrativi del comune ma preparati dai due tecnici, e che dallo stesso studio sigillato era partito, pochi giorni dopo il sequestro e quindi con lo studio sigillato, un fax verso Roma: inviato da chi ed a chi … dai Servizi ai Servizi o da altri ?
E’ il 16 maggio 1992 quando il quotidiano Il Mattino pubblica che presto arriverà a Salerno il nuovo arcivescovo destinato a sostituire il mitico “don Guerino Grimaldi” deceduto il 12 aprile di quello stesso anno. Nella storia sarà ricordata la sua ultima grande e imponente apparizione pubblica nel Duomo di Salerno per celebrare i solenni funerali di Stato per i carabinieri Arena e Pezzuto (uccisi nell’agguato di Pontecagnano la sera del 12 febbraio) nel corso dei quali l’arcivescovo lanciò la sua durissima omelia verso l’elite della politica nazionale (quasi tutta presente nel Duomo) che stava per essere travolta dal fango di tangentopoli.
A salire sull’alto scranno arcivescovile della diocesi-metropolita di Salerno-Campagna-Acerno sarà il cosiddetto “curato di campagna” mons. Gerardo Pierro (per anni parroco di Coperchia), molto noto negli ambienti politici salernitani per i suoi accaniti scoponi scientifici giocati con carte napoletane al tavolo del gran visir di Nusco “Ciriaco De Mita”, potentissimo plenipotenziario dell’allora imperante Democrazia Cristiana.
Mentre i politici esultano per l’arrivo di Pierro (la cerimonia ufficiale si terrà il 4 luglio 92) ecco che Il Mattino sempre in prima lancia un’altra, l’ennesima, esclusiva sulla “Scoperta di una lettera scottante sull’affaire metrò”.
Secondo i “tre Di Pietro di Salerno” (Michelangelo Russo, Vito Di Nicola e Gigi D’Alessio) il 16 aprile precedente, nel corso della perquisizione nello studio tecnico Galdi-Amatucci (i famosi “due compassi d’oro”), era stata rinvenuta la lettera scottante sull’affaire metrò; all’epoca l’attenzione della città era concentrata soprattutto sulla fantomatica metropolitana da realizzare con i fondi del Ministero per le Aree Urbane retto dall’on. Carmelo Conte.
Ma in realtà cosa era avvenuto ? E’ presto detto; negli uffici dei tecnici, posto dopo la perquisizione sotto i sigilli giudiziari, un solerte funzionario delle forze dell’ordine aveva casualmente (si fa per dire !!) trovato una lettera scritta su carta intestata del Comune di Salerno, predisposta per la firma del sindaco Vincenzo Giordano, e destinata al Ministero retto da Conte con la finalità di sollecitare il finanziamento in favore dell’opera progettata dalla soc. Tecnoydro (di Galdi e Amatucci) ma ancora sconosciuta al Consiglio Comunale e, forse, alla stessa Giunta.
Apriti cielo, la rivelazione in esclusiva de Il Mattino entrò nell’immaginario collettivo della gente come una conferma dei brogli denunciati dai magistrati inquirenti.
Le chiacchiere di marciapiede proliferarono come non mai e la stampa locale tutta contribuì a far montare la rabbia di molti contro quel “sistema politico di potere, laico e di sinistra” creato dal socialista Carmelo Conte che aveva prodotto il 33% di consensi alle amministrative del ’90 e che era stato esportato da Bettino Craxi in sede nazionale.
E mentre la città si interrogava sulle conseguenze politiche e giudiziarie di quel ritrovamento ecco pronta la nuova bomba sganciata, sempre in esclusiva, da Il Mattino (che ancora in quel momento faceva il filo alla Procura) contro il Partito Socialista: “Un timbro rotondo e uno lineare del Comune di Salerno sequestrati nei lussuosi uffici della Tecnoydro di Galdi e Amatucci”; in quei giorni la situazione si fece davvero insostenibile e non giustificabile.
A processo, più di un anno dopo, i due tecnici sosterranno la tesi secondo cui la carta intestata e i due timbri si trovavano nei loro uffici per agevolare il lavoro dell’ufficio tecnico comunale. La vicenda non ebbe, comunque, una grossa rilevanza processuale; la spiegazione fornita dai tecnici poteva anche essere credibile alla luce delle tante altre prove a carico che portarono ad una condanna generalizzata degli imputati della Fondovalle Calore; ed anche perché quella vicenda non entrò mai in un vero e proprio processo. In definitiva si trattava di un lettera di raccomandazione per un’opera da ammettere a finanziamento pubblico prima di sottoporla all’approvazione del Consiglio Comunale. Comincia così la tangentopoli ufficiale salernitana.
Ma il colpo più duro era ancora tenuto nascosto dal prestigioso quotidiano.