da Antonio Cortese (docente – giornalista)
Prima dell’emergenza sanitaria le saracinesche non conoscevano tante soste, specie per i grandi magazzini, o i bar e locali per il divertimento e ristoro notturno.
Superata tale crisi però non sembra si sia provveduto a restituire ai commercianti, in particolar modo per le piccole ditte individuali, la possibilità o la liberta di offrire alla clientela orari più flessibili a seconda dell’esercizio merceologico.
Ad Avellino un consigliere comunale, Bilotta, ha suggerito ai piccoli negozi di aspettare comunque le ore ventidue nel fine di tamponare la lotta impari tra grandi e piccoli sia nella distribuzione che nel dettaglio. La proposta coglie il mio personale plauso perché oltre ad essere terminato il coprifuoco da più di due anni, nel frattempo le dinamiche commerciali si sono evolute assieme le abitudini di spesa.
Gli amministratori municipali specie nelle zone più turistiche al sud infatti avrebbero dovuto intendere dapprima i trend in cambiamento, ma invece di svegliarsi hanno scopiazzato normative internazionali che non sono adatte geograficamente ad ogni zona a seconda delle proprie tipologie di vita ed iter commerciali. .
Innanzitutto determinare orari uguali per catene di negozi di gruppi esteri e allo stesso tempo per i pizzicagnolo del quartiere é una “baggianata” limpida agli occhi di un bambino anche se non normodotato.
Poi, si pensi al turismo, in estate i turisti in questi anni hanno trovato gli stessi orari degli orari di lavoro del proprio paese di provenienza, traendone la conclusione che non si trattasse di vera e propria vacanza.
Se davanti l’ingresso il commerciante può esporre i propri e singolari, liberi orari a seconda della clientela e differenti tempi per il trattamento e rivendita della propria merce, come mai i gruppi internazionali espongono un timing che risulterebbe più legittimo di quello del piccolo artigiano? Se il medio ed il piccolo esercizio hanno una propria vita anche con quattro o cinque dipendenti come possono tenere testa a filiere con un organigramma ed un recruiting di personale molto numeroso tra succursali e pubblicità gigantografiche? Il singolo dettagliante liberato da orpelli costrittivi di natura medioevale e assolutistica potrebbe invece lavorare meglio ed in pace se é vero che paga le tasse come tutti agli occhi del fisco. Quindi lavorare anche sugli sgravi a seconda delle gerarchie dei volumi e pertinenze del commercio sarebbe altra necessaria impellenza per il ministero.
Se i brand internazionali sono presenti su ogni dispositivo con promozioni e studi di marketing che raggiungono il cliente in ogni dove a qualsiasi orario, le piccole imprese nostrane, oltre all’umile sito sui social network come possono mai competere se non si distinguono i ritmi differenti?
Se il piccolo commercio soffre la denatalità o vita breve e i dati consegnano bollettini di chiusura che superano le migliaia in un solo anno, la colpa non é degli americani o dei cinesi, degli immigrati o dei camerieri sottopagati da imprenditori ubriachi, della guerra afghano-caraibica dei paesi arabi, ma nella mancata analisi da parte di una burocrazia distratta dalla televisione secondo i proclami di gente che parla ai microfoni distanti un continente e mezzo dalle nostre strade.
Ogni piccolo esercizio invece potrebbe esporre le proprie ed autentiche parentesi di pausa come per il proprio lavoro.