L’economia va a cicli, le scuse e i pretesti a litri

da Antonio Cortese (docente – giornalista)

 

Che zio Donald stia inasprendo ogni misura verso Asia ed Europa non é certo una notizia, poiché da anni alimenta forse anche provocatoriamente ma in positivo gli attriti con Cina, Russia e Corea.

 

Mentre poi le Borse oscillano per vocazione e normale andamento professionale, i soliti quattro giornalisti che hanno trovato il sinonimo “dazio” al posto dell’obsoleto termine “tassativo”, come “accise” ed altri vocaboli ampiamente speculati e passati di moda sui notiziari, i piagnucoloni italiani lamentano lo stallo negli  aeroporti e nei porti di mezzo mondo soprattutto riguardo a milioni di bottiglie di origine enogastronomica che sarebbero impedite improvvisamente dal Tycoon; quando invece  la causa sta nell’accorgersi che gli americani non hanno mai bevuto un quartino di vino nemmeno nelle scene a scazzottate western.

 

Se poi i vecchi o anzianotti guru del marketing avevano pianificato diversi trend in base ad aziende diffusesi specie in California, dove le distillerie fanno meno whiskey del solito per essersi innamorate del made in Italy, le previsioni si stanno rivelando tutt’altro che “rosée”.

 

Le abitudini e i numeri sul consumo interno infatti stesso in Italia rivelano un’ offerta che oramai supera di gran lunga la domanda. Una domanda che si cristallizzata mitologicamente nell’immaginario collettivo, negli spot e nelle chiacchiere da bar. Ma altri fattori come la concorrenza spagnola e asiatica oltre a quella dei soliti cugini oltr’alpe, fanno del mercato vinicolo italiano una botte destinata ad invecchiare, perché la gente beve sempre meno a tavola se non a qualche sagra dove si fa sfoggio di numerosissime aziende nate o potenziatesi negli ultimi anni di arraffa-arraffa fondi e politiche resilienti europee.

 

Quindi tutta quest’eco sull’ennesima cattiveria in Casa Bianca non é altro che un’autodenuncia di un settore messo di fronte ad uno specchio reale dal quale si riconoscono le esagerazioni dedicate ad un prodotto di cui si abusa per mera tradizione consolante e nostalgica, per appartenenze a paesi o entroterra di cui i consumatori metropolitani o delle città non se ricordavano prima dell’avvento dei supermercati, avendo le ultime tre generazioni  consumato tutt’altre birre ed alcolici negli ultimi trent’anni.

 

Forzare un mercato che ha di vita propria alti e bassi meno rocamboleschi forse di un film girato su Wall Street,  si può rivelare una buffonata o una bolla come la si voglia intendere, ma di sicuro non é colpa degli americani o delle dogane che hanno sempre adoperato il vino semplicemente per condire una sangria.

 

In un articolo precedente sul turismo e sulle ciclovie ho provato a spiegare una banale regola secondo cui “paese che vai usanze che trovi”, ma se anche i turisti da noi ci fotografano mentre beviamo birra, anche se “artigianale”, gli ettolitri di dichiarazioni in merito al problema risultano ai microfoni e sui quotidiani frutto di ubriachi e non di imprenditori.

Il brindisi pasquale é dunque rinviato al natale prossimo, lavorando sulla comunicazione e con le proprie responsabilità.

 

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