Eutanasia, le ragioni della Chiesa. la legge dello Stato laico e il riguardo etico

 

by Luigi Gravagnuolo 22 Febbraio 2025

da Gente e Territorio

 

Conobbi una persona molto anziana. Era ricco. Quando capì che erano iniziati i suoi ultimi giri di giostra, assunse una coppia di infermieri esperti perché lo assistessero. I due furono bravissimi, si alternavano al suo capezzale senza risparmiarsi un attimo. Durò per un anno e mezzo, poi il vecchio perse conoscenza ed entrò in coma. Il compenso per i due infermieri era consistente. Più sarebbe ‘durato’ l’assistito, più esso si sarebbe protratto ed i due si accanivano sul corpo del loro inerme committente. Alla fine i parenti si chiesero se non fosse il caso di ‘staccare la spina’. Quella persona cara ormai non c’era più, era solo un tronco con un cuore battente ed alimentato con le flebo. Ma il medico curante lo vietò, la legge non consentiva di mettere fine allo strazio. Così andarono avanti ancora per un paio di mesi, finché il cuore non ce la fece più.

Altra vicenda, anzi altre vicende che si reiterano. Avete presenti i casi di infermieri di strutture ospedaliere e sanitarie condannati per aver ucciso alcuni anziani affidati alle loro cure? Qui le parti sono invertite, gli infermieri percepiscono il loro salario a prescindere dal numero di pazienti ricoverati nella struttura. Due o tre in più, per loro è solo fatica aggiuntiva. E c’è anche un modo di ‘arrotondare’. In queste strutture si aggirano come iene gli impresari delle pompe funebri che si contendono le salme… Così corrompono gli infermieri, i quali gli vendono i morti da loro assassinati. Meno fatica e più soldi. In fondo quel vecchio era solo un fastidio, e vai con la siringa fatale! E i parenti? Embè, se il vecchio muore finiscono di pagare la retta alle strutture e possono finalmente aprire il testamento. Diciamo che il più delle volte chiudono un occhio.

Ovviamente sono casi eccezionali, ci mancherebbe! Anzi, le volte che i trafficanti di salme sono stati presi con le mani nel sacco lo si è dovuto alle denunce dei parenti. O alla vigilanza dei controlli interni alle strutture. O anche alla coscienza dei colleghi degli assassini, che hanno segnalato le morti sospette all’autorità giudiziaria. O infine alle soffiate delle agenzie delle pompe funebri fuori dal giro.

Questo solo per dire che la Chiesa non vaneggia quando mette in guardia dalla ‘cultura della morte che avanza soprattutto nella società del benessere’. E dalla ‘cultura dello scarto’ di chi non serve più. In una società in cui ha valore solo ciò che è utile, una persona che non è più utile non è più una persona. È un ingombro di cui liberarsi.

Cosa dovrebbe fare allora la Chiesa, la custode dei valori evangelici, se non scendere in campo per difendere il principio dell’inviolabilità della vita umana?

Il caso del suicidio assistito è però diverso sia dall’accanimento terapeutico, sia dall’omicidio. Qui la persona, sofferente e a fine vita, è cosciente e chiede di essere aiutata a morire in piena consapevolezza. È lei, la persona richiedente l’eutanasia, a ritenere se stessa uno scarto. O semplicemente a non farcela più.

Ne ha diritto? Difficile pensare che no; che deve essere condannata a soffrire contro la sua volontà fino a morte naturale. Eppure tale desiderio della morte come cessazione della tortura, pur umanamente comprensibile, tradisce una dis-sacrazione del senso della vita. Sotto il riuardo religioso sottrae a Dio la prerogativa esclusiva sul fine vita di ciascuno di noi. La Chiesa non può accettarla. La vita della persona, dal concepimento alla morte naturale, appartiene a Dio non agli uomini.

Diverso è il caso della legislazione dello Stato laico, che tiene conto della sensibilità dei cittadini cattolici, ma anche di quella di chi non si riconosce nel magistero della Chiesa. Non è la Conferenza Episcopale a varare le leggi, ma il Parlamento. Cercando nei casi virtuosi il punto di equilibrio tra le varie opinioni in campo. Ma non solo il Parlamento della Repubblica. Ai sensi nel Titolo V della Costituzione la materia è di competenza concorrente regionale, così lo scorso 11 febbraio il Consiglio Regionale della Toscana ha varato la prima legge italiana sul suicidio assistito.

È una legge sensata.  Tiene conto di due sentenze della Corte Costituzionale, la  242/2019 e la 135/2024, chiamata ad esprimersi sulla punibilità di un cittadino che aveva accompagnato all’estero un richiedente il suicidio assistito.  Nel caso in ispecie l’accusato era Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. In esse la Suprema Corte  ha sentenziato che  il suicidio assistito è possibile ‘quando la patologia è irreversibile, la persona vive sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, c’è una situazione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e il paziente ha la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli’.

Forte di tanto, la legge regionale toscana dell’11 febbraio scorso dispone in premessa che possono accedere alle procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze 242/2019 e 135/2024 della Corte Costituzionale.

Quindi stabilisce che le aziende sanitarie locali istituiscano una commissione multidisciplinare permanente per la verifica della sussistenza dei requisiti. Tale commissione, è formata – su base volontaria – da un medico specializzato in cure palliative, uno psichiatra, un anestesista, uno psicologo, un medico legale, un infermiere e un medico specialista della patologia da cui è affetta la persona che richiede il suicidio medicalmente assistito.

La persona interessata presenta all’ASL territoriale un’istanza per l’accertamento dei requisiti, corredata dalla documentazione sanitaria. L’azienda  trasmette l’istanza alla Commissione e al Comitato per l’etica nella clinica. La Commissione verifica che il paziente abbia ricevuto informazioni adeguate relative alla possibilità di accedere a un percorso di cure palliative e, se questi conferma la sua intenzione, ne esamina la documentazione. Infine, dopo aver chiesto un parere al Comitato sugli aspetti etici del caso in esame, redige la relazione finale e  comunica gli esiti dell’accertamento alla persona interessata. La procedura per la verifica dei requisiti si deve concludere entro venti giorni. Se l’esito risulta essere positivo, entro 10 giorni la commissione prescrive in che modo eseguire il suicidio medicalmente assistito, cioè quale farmaco usare ed quale sarà il medico che lo somministrerà. Il costo sarà totalmente a carico delle istituzioni locali.

Sotto il rispetto giuridico, ineccepibile.

Sotto il riguardo etico, pur ponendo dei limiti riconosciuti come ragionevoli dalla stessa Conferenza Episcopale Toscana, è inaccettabile per i cattolici. Il cardinale Lojudice, Presidente della Cet: ‘noi dobbiamo fare in modo che non si legalizzi ciò che non è oggettivamente giusto’.

E non è giusto, per i credenti, che un uomo decida per se stesso ciò che spetta solo a Dio stabilire.

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