GIUSTIZIA: riforma, politica e magistratura … vista da Memoli

 

Aldo Bianchini

SALERNO – “Quando un problema sociale diventa un argomento discusso da tutti, può venire il dubbio che oltre all’attualità può muovere il confronto l’animosità. Questione delicata che dovrebbe far pensare che é bene far passare il tempo per lasciare decantare tutto ciò che non consente un esame sereno dell’argomento. É così anche per la troppo dibattuta posizione di rottura dei Giudici e dei Magistrati italiani che hanno ritenuto di esprimere il loro dissenso contro il Parlamento e il Governo italiano promotori di una riforma legislativa che entra nel merito del troppe volte discusso tema della separazione delle carriere”.

Comincia con questo condivisibile cappelletto l’analisi, del momento topico dello scontro in atto tra politica e magistratura, fatta anche su questo giornale dall’avv. Salvatore Memoli; un’analisi molto attenta, accurata e poggiata su una solida base di conoscenza del diritto in un Paese che ne è stato la culla per millenni.

A pensarci bene è proprio come scrive Memoli; un problema sociale quando viene discusso, trito e ritrito da molti vuol dire che tutti puntano a non cambiare nulla; nell’ottica di far finta di voler cambiare tutto per non cambiare niente. In special modo quando si parla di riforma della giustizia che, invece, sta bene così come è a tutti perché tutti possono tirarla come una giacchetta da una parte e dall’altra accusando l’avversario di turno di volerla strumentalizzare. Ecco perché dopo tutto quello che accade “la giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio” (George Bernard Shaw).

L’editoriale di Salvatore Memoli continua con spietata lucidità quando ricorda le battaglie furiose, contraddittorie ed addirittura autolesioniste di molti magistrati presi dalla furia di attaccare il potere politico per non perdere neppure una briciola del proprio; e saggiamente scrive: “Mi veniva in mente il monologo pronunciato da Menenio Agrippa nel 494 a.c. Rivolto ai plebei che avevano abbandonato Roma ed occupato il Monte Sacro, per avere la parificazione dei diritti con i patrizi. “Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute.” Come farlo capire agli amministratori della nostra Giustizia, a coloro che sembrano sempre più distanti dai cittadini, che vediamo in auto blindate e lontani dalla gente, a chi non ha tempo per ascoltare e non soffre se qualcuno resta anche un solo minuto in più in un carcere o con le manette ai polsi, per loro errore o perché non hanno tempo per ripensare ai loro stessi provvedimenti.  La giustizia di certi ambienti é temuta più per gli errori che per le virtù di riequilibrio di condotte erronee”.

 

Sottoscrivo ed aggiungo; Salvatore dimentica che la gran parte dei magistrati italiani non hanno frequentato le scuole primarie (elementari e medie) e sono stati iscritti direttamente alle superiori se non proprio all’università; perché forse unti dal Signore o più semplicemente per diritto di casta, che è la cosa più deprecabile.

 

 

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