Aldo Bianchini
SALERNO – Sono passati ben 69 anni dal momento in cui la storia che sto per raccontare turbò profondamente l’intera comunità in cui si verificò: Muro Lucano in provincia di Potenza, mio paese di nascita e crescita.
E’ la storia di sempre che si ripete con una periodicità quasi sconcertante in tutte le scuole di questo Paese, di ogni ordine e grado; è la storia di docenti, alunni e genitori alle prese con le “perversioni sessuali” di pochissimi, fortunatamente, personaggi alle prese con le loro interiori frustrazioni da sfogare su un set (quasi cinematografico) immaginario che cambia, di volta in volta, solo la location, ma che resta perfettamente identico in una realtà squallida e sconfortante.
La storia di Muro Lucano l’ho già raccontata, nei minimi dettagli, su questo giornale; la proposi qualche anno fa anche all’allora quotidiano La Nuova di Potenza che decise i non pubblicarla, forse perché sebbene fossero passati tanti decenni poteva ancora colpire la suscettibilità di qualcuno di quei ragazzi e ragazze vittime inconsapevoli della perversione del prof. M. che all’epoca della grande nevicata del 1° febbraio del ’56 guidava una eterogenea scolaresca (ragazze e ragazzi dell’età media di dieci anni) in preparazione dell’esame di ammissione alle scuole medie nel periodo immediatamente successivo al mese di febbraio e fino a giugno.
La vicenda della professoressa di sostegno della scuola media Salvati di Castellammare di Stabia (il 14 novembre 24 aggredita da alcuni genitori di studenti, poi scagionata e, infine, arrestata qualche giorno fa per presunte violenze sessuali in danno di alcuni ragazzi-maschietti suoi discepoli) mi ha riportato con la mente, quasi naturalmente, indietro nel tempo fino a quel lontanissimo 1956.
IL CONTESTO: L’inquietante storia di perversione sessuale del prof M. mi vide come protagonista in quanto ero in quel gruppo che si preparava per l’esame di ammissione; i maschietti di quel gruppo (e quindi anche io) non subirono violenze di nessun tipo, furono alcune ragazzine a pagare sulla loro pelle la miserabile perversione del docente che in paese era ritenuto il migliore per quel tipo di preparazione scolastica. Di sicuro fui l’unico teste di accusa contro quel prof; rivelai alcuni agghiaccianti particolari della vicenda a mio zio Antonio (insegnante, uomo di mondo e di cultura) che era stato il mio maestro nei cinque anni delle elementari che stavo per lasciare per approdare alle medie. Una vicenda che, data l’epoca, non sfociò fortunatamente con un meritata lapidazione a carico del prof e che grazie a mio zio e ad altri maestri (che vedete tutti ripresi nell’allegata foto risalente alla nevicata del ’56, mio zio il primo da sinistra) si chiuse rapidamente con la fuga nottetempo di “M” dal paese; e di lui si perse ogni traccia.
LA SCENA: “” … Ricordo l’atmosfera di quel primo giorno quando, insieme a diversi miei compagni di scuola (maschietti e femminucce), entrai nella casa di Via Marinella, quella che presto diventerà “la casa degli orrori”; si respirava un’atmosfera di vetusta severità, una sala con un grosso e lungo tavolo a “U”, davanti la cattedra del professore sistemata sopra una pedana, lo sguardo penetrante del cinquantenne docente, il silenzio assoluto di tutti noi bambini e le sue prime parole: “Ragazzi, qui si studia come dico io”. Non ero arrivato lì da sprovveduto, la severa fama di M mi era stata spiegata per tempo da zio Antonio e mi ero preparato molto bene per quel momento. Il Prof mi apparve, comunque, come un piccolo ducetto di periferia e nulla più; insomma, pensai, che sarebbe stato sufficiente studiare per eludere la prorompente severità del luogo e del docente. Quattro cose, però, mi colpirono in maniera particolare: la vestaglia scura con poche righe biancastre indossata dal Prof; un righello di legno (la bacchetta!!) sulla scrivania; le pantofole ai piedi; l’orologio da taschino che il Prof esibiva sempre. Queste poche cose segneranno veri momenti di incubo vissuti in quella casa.
LA STORIA: Una sera, agli inizi della seconda metà del mese di aprile, rimasi letteralmente sconvolto. Un movimento strano attirò la mia attenzione: la pantofola dondolante di M si infilò sotto la gonnellina di una femminuccia che egli stava interrogando; allibito guardai il viso allucinato di Giada (una bambina di Tolve) che frequentava il corso insieme a suo fratello gemello; entrambi (se ricordo bene) erano convittori presso l’istituto G.B. De Jacobis. Mi girai subito a guardare il fratello che appariva distratto, rapidamente ritornai sulla scena inquietante ma tutto era ritornato al suo posto. Giada non riusciva, però, a parlare e per la prima volta il maestro-aguzzino scatenò una insana violenza fisica, senza pari, anche sulla malcapitata bambina rifilandole un centinaio di stilettate sulle mani. Quel venerdì sera (credo fosse il 20 di aprile) giunsi a casa esterefatto; una domanda assillante trapanava il mio cervello: era stata pura immaginazione o avevo assistito ad una scena vera ? Solo la dolcezza di mia nonna Brigida (vivevo con Lei e con mio zio Antonio) riuscì a farmi prendere sonno; non sapendo cosa fare pensai bene di attendere il lunedì successivo per capirne di più. Eravamo tutti ragazzini sani, di buone famiglie e con principi comportamentali severissimi. In un simile contesto era molto difficile credere a quello che avevo visto, eppure lo avevo visto.
LA FINE: Era tutto vero, purtroppo. E la storia continuò fino alla conclusione del corso di preparazione; le voci, però, erano filtrate all’esterno; e mio zio in un giorno d’estate mi sottopose ad un vero e proprio interrogatorio alla presenza degli altri suoi colleghi nella foto. Poche ore dopo il mormorio della gente si fece più intenso, il “prof M” era scomparso dal paese lasciando addirittura spalancata la porta della “casa degli orrori”.
N.B.: Per chi ne volesse spere di più. La storia completa sarà inviata alla giuria del premio Internazionale di poesia e narrativa “San Gerardo Maiella” di Muro Lucano (giunto alla XVII edizione) che si terrà nel mese di maggio 2025.