IL PENSIERO DELLA TRADIZIONE 

 

da Angelo Giubileo (avvocato – filosofo)

Il pensiero di Parmenide sconta ancora oggi l’incomprensione dei molti. Da circa 2.500 anni.

Nel secolo scorso, è stato Martin Heidegger il filosofo che ha senz’altro meglio interpretato e, a mio parere, finalmente compreso l’esatto “portato” del pensiero di Parmenide.

Si tratta qui del secondo-Heidegger, che perviene, per l’appunto in scia al pensiero di Parmenide, alla conclusione che: “L’uomo sta per lanciarsi su tutta la terra e nella sua atmosfera, sta per impadronirsi da usurpatore del regno segreto della natura – ridotto a ‘forze’ – e per sottoporre il corso della storia ai piani e ai progetti di una dominazione planetaria. Quest’uomo in rivolta non è più in grado di dire semplicemente che cosa è (ist), di dire che cos’è che una cosa è” (Sentieri interrotti, Il detto di Anassimandro).

E allora, ritorniamo al nocciolo essenziale del pensiero di Parmenide. Esso può riassumersi in un distico:

l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere.

Ora, molti analisti trascurano l’importanza nel detto di Parmenide delle “delucidazioni” secondo cui l’essere è – e: non può non essere; il non essere non è – e: non può essere.

Così che dovremmo dire allora che: Tutto ciò che è (essere) è tutto ciò che è possibile, un’identità perfetta tra ciò che è e ciò che è possibile, tra l’essere e il possibile.

Questa forma di rappresentazione, logica ma ancor più tauto-logica, dell’essere non è e non può essere allo stesso modo ri-compresa nell’ambito del pensiero logico “aristotelico”, che invece non segue la via logica tradizionale e pertanto separa l’idea di “potenza” dall’idea di “atto”.

Così che, dice Heidegger: “quest’uomo in rivolta non è più in grado di dire semplicemente che cosa è” e “che cos’è che una cosa è”.

Anche se lo stesso Aristotele sapeva bene che “il tratto fondamentale dell’esser-presente” è l'”energheia”, termine greco che i romani hanno invece tradotto erroneamente con “actualitas”.

Questa metamorfosi, svelata altresì da Ovidio, ha prodotto l’essenza del “capovolgimento” e quindi ciò che Heidegger chiama “oblio dell’essere”. E cioè, nell’ambito del discorso, altresì logico, la pretesa arbitraria (hybris) che l’ente preceda l’essere.

Così che, dice sempre Heidegger: “il tutto dell’ente è divenuto l’unico oggetto di un’unica volontà di conquista”. E l’intero discorso è pervaso perché preceduto da un’unica volontà di “potenza” che diventa “atto” e “l’actualitas diverrà realtà attuale e la realtà attuale oggettività”.

C’è qualche “salvezza”? No.

C’è qualche “rimedio”?

Si.

Ed è il rimedio della Tradizione. E con-siste (letteralmente: sta insieme) nella consapevolezza che “l’essere è e non è possibile che non sia, il non essere non è e non è possibile che sia”.

Almeno fintantoché “l’essere, nella sua stessa essenza, man-tenga l’essenza dell’uomo”.

 

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