Aldo Bianchini
SALERNO – Sarà soltanto la mia impressione ma, dopo aver letto e riletto attentamente l’articolo apparso su Il Mattino (edizione 27.11.24) dal titolo: “Le parole del boss D’Atri decisive per le accuse al colonnello Cagnazzo – Battaglia al Riesame, il ruolo dell’uomo che ha condiviso il carcere con Ridosso”, da uomo libero in Paese libero immagino la seguente scenografia per una conseguente sceneggiatura all’interno della Camera di Consiglio del Tribunale del Riesame con i tre magistrati giudicanti (presidente Gaetano Sgroia, a latere Cioffi e De Luca) lì assisi in silenzio per ascoltare la descrizione degli eventi che ognuno dei convenuti vuole descrivere a modo suo leggendo una sorta di protocollo (sceneggiatura) già stampato.
LA SCENA: Dinanzi al Collegio giudicante sono schierati da una parte la Procura (con il capo Borrelli e il pm Colamonici – per delega da Catania) e dall’altra gli agguerriti tre difensori (Ilaria Criscuolo per Cagnazzo, Giuseppe Stellato per Cioffi, Giovanni Annunziata per Cipriano); il principale pentito Romoletto Ridosso ha rinunciato al riesame per continuare a gestire a suo piacimento i buoni uffici con la Procura. Dunque cinque magistrati, tre giudicanti e due inquirenti, contro tre avvocati; anzi i magistrati sono virtualmente otto se si aggiungono anche Rotondo, Guarino e Cioncoada che hanno, comunque, sottoscritto la richiesta di misure cautelari come si usava ai bei tempi di tangentopoli; strategia d’assalto che almeno qui a Salerno ha sempre prodotto effetti disastrosi per la pubblica accusa.
IL MAESTRO: E’ salito subito in cattedra il capo della Procura dr. Borrelli che secondo la versione de Il Mattino: “È stato proprio lui, con vigore e precisione giuridica, a ribadire a tutti gli avvocati (Ilaria Criscuolo, Giuseppe Stellato e Giovanni Annunziata) che l’ufficio da lui diretto ha svolto approfonditi riscontri in materia”; insomma quasi come un classico maestro delle elementari fa con i suoi alunni al primo giorno di scuola.
GLI ALUNNI: I tre avvocati (Criscuolo, Stellato e Annunziata) all’inizio appaiono un po’ impacciati, non si aspettavano una simile presa di posizione, ma dopo pochi minuti capiscono e comprendono le ragioni per le quali il Procuratore Capo sta recitando la sua parte a soggetto. In definitiva sulla scena giudiziaria ognuno recita la sua parte; difatti in composta successione, quando è il loro turno, cercano di smentire la sostanza delle accuse portando nuova farina ai propri sacchi e battibeccando la lezioncina loro impartita dal maestro. Hanno una certa età, un ottimo curriculum professionale e, soprattutto, non hanno nulla più da imparare.
IL PENTITO: Lui non c’è ma nella camera di consiglio aleggia il suo spirito giudiziario fondato su dichiarazioni rese in passato con la solita solfa: “Ridosso mi ha detto in cella che …; ovvero io ho confermato a Ridosso che …”. Il pentito è lui, Eugenio D’Atri, un boss di Somma Vesuviana che ha condiviso con Romolo Ridosso il carcere raccogliendo le sue confidenze. Tutto qui, cose vecchie e spesso ripetute.
LA PROCURA: Niente di nuovo per la risoluzione del rebus in cui, forse maldestramente, si è infilata la Procura per il caso Vassallo; una Procura che è giusto ripetere si è ritrovata immersa in un mare di carte e di faldoni giudiziari sconosciuti ai più, e che cerca con più tentativi di ricostruire la scena del delitto e un minimo punto di credibilità dei gradi delle varie inchieste preliminari.
Insomma questa è la scena che da semplice ma interessato lettore ho ricavato, in piena libertà, dopo aver rivisitato più volte l’articolo de Il Mattino nel cui contesto si ritorna a parlare anche di Gianluca Cillo (sulla cui credibilità da osservatore non scommetterei neanche un centesimo) e delle sue confessioni circa le confidenze fattegli da Vassallo; confidenze che avrebbe cercato di avvalorare anche la su ex compagna (C.P.) che era stata la compagna del boss Cosimo D’Andrea (morto dieci anni prima di Vassallo) che gli aveva lasciato alcune confidenze sullo stesso Vassallo e sul colonnello Cagnazzo. Roba dell’altro mondo che la pubblica accusa continua a ritenere esaustiva per la soluzione dell’impenetrabile omicidio.