ALIBERTI: assoluzione, riflessioni e il capolavoro dell’avv. Sica

 

Aldo Bianchini

NOCERA INFERIORE –  Non so in quanti hanno letto la memoria difensiva di ben 41 pagine depositata il 4 ottobre 2024 dall’avv. Silverio Sica e controfirmata dall’avv. Giuseppe Pepe, entrambi difensori del sindaco di Scafati “Angelo Pasqualino Aliberti”; se fosse stata letta attentamente avrebbe evitato posizioni radicali della Procura e della stampa almeno in questo ultimo mese. Purtroppo il lavoro delle difese non viene quasi mai preso in considerazione, soprattutto nel corso delle indagini preliminari. Insomma, come dire che la pretestata innocenza non fa notizia.

MEMORIA DIFENSIVA: Potrò sbagliarmi, anzi mi sbaglio, ma per quanto mi riguarda, da uomo libero in un Paese libero, sono portato (quasi trascinato !!) a pensare che non l’ha letta neppure il pm Rocco Alfano (della DDA di Salerno). Difatti, se lo avesse fatto probabilmente avrebbe capito molte più cose rispetto all’andamento dei fatti incardinati in uno dei processi più controversi della recente storia giudiziaria del distretto; un processo sostanzialmente provocato dalle innumerevoli dichiarazioni del pentito Romolo Rdosso, sulla cui affidabilità io non spenderei neppure un soldo bucato anche alla luce del recente ma tardivo ripensamento della GIP dell’inchiesta Vassallo. E lo dico da uomo libero che ha avuto la sfortuna di non essere magistrato e lo fortuna di non essere avvocato. Nelle 41 pagine, che andrebbero lette tutte d’un fiato, l’avv. Sica (confortato dall’avv. Pepe) ha avuto la capacità professionale di mettere nero su bianco (ben oltre la sua arringa) tutti gli aspetti noti e meno noti di un’inchiesta giudiziaria nata più sull’onda di uno scontro molto forte tra pubblica accusa (Vincenzo Montemurro), indagato (Pasqualino Aliberti) e difensori (Sica e Pepe)  perché basato sostanzialmente sulle esclusive dichiarazioni di un pentito ondivago e poco affidabile (per non dire altro); uno scontro, divenuto presto quasi personale, su cui qualcuno (almeno in due, un esponente della magistratura nocerina e un noto politico scafatese) ci hanno messo il pepe e il sale. Dunque la memoria difensiva di Sica e Pepe tocca, anche da un punto di vista umano – caratteriale ed espressivo, i punti salienti di un impianto accusatorio fasullo che doveva, come è accaduto, portare soltanto all’assoluzione con formula piena.

RIFLESSIONI: Partendo, quindi, dall’attenta lettura della memoria difensiva si è autorizzati a credere che la giustizia è soltanto una recita di un copione scritto ed immodificabile; sul proscenio la pubblica accusa deve recitare fino in fondo il ruolo di massacratore e la difesa quello, molto ridotto, di un attore che parla e non viene mai ascoltato. E’ una giustizia che non mi piace per niente. E poi c’è una palese, anche se non scritta e mai riconosciuta, sudditanza di alcuni PM nei confronti di alcuni investigatori diretti (Carabinieri, Finanza, Polizia) che fanno il bello e il cattivo tempo; provate a rileggere gli interrogatori verbalizzati, ad esempio, dal capitano Fausto Iannaccone o dal tenente colonnello Giulio Pini (la cui consorte sarebbe in predicato a candidarsi per le regionali con Forza Italia), entrambi passati per la DIA di Salerno nel periodo cruciale delle indagini, e vi renderete conto che il contenuto di quegli atti è stato brutalmente polverizzato dal collegio giudicante. E tutti dovremmo chiederci a cosa sono serviti se non a far vivere momenti drammatici ad un uomo che avrà pure delle colpe ma che mai e poi mai andava considerato alla stregua di un camorrista. Il problema di fondo è quello che in generale gli investigatori credono di scrivere delle sentenze anziché degli interrogatori.

LA STAMPA: Nel corso di questi lunghi 9 anni trascorsi dal momento del primo blitz (15.09.2015) al momento della sentenza (13.11.2024) c’è stato certamente un attacco mediatico contro Aliberti ed  a sostegno della Procura e già questo non è giustificabile; ma la cosa più vergognosa è stata la battaglia senza quartiere messa in piedi dal quotidiano “Metropolis” contro il sindaco fino al punto da riuscire ad anticipare i tempi dell’inchiesta ed a provocare, in maniera fasulla, anche un’altra inchiesta per le rivelazioni clamorose di un sua giornalista che accusava il fratello di Pasquale, “Aniello”, di averla finanche minacciata.  Ma sempre da Metropolis  arriva, in queste ore, lo splendido articolo di Adriano Falanga che descrive tutte le macchinazioni degli inquirenti pre-blitz: ma perché non l’ha denunciato prima ? Possibile, mi sono più volte detto, che la Procura non si sia resa subito conto che forse dietro quel giornale c’era e c’è uno dei principali accusatori di Aliberti e che, dunque, tutta quella azione giornalistica era minata alla base. Il tutto alla pari della stranissima candidatura nelle elezioni del 2023 di un personaggio come Corrado Scarfato (l’ufficiale dei Carabinieri che indagò sul caso “CONSIP”) con una lista civica per rimescolare le carte.

ARRINGA e REQUISITORIA: Se la pubblica accusa avesse attentamente letto la memoria difensiva e valutato tutte le considerazioni espresse nei miei ultimi editoriali molto probabilmente non saremmo arrivati alla cosiddetta “recita a soggetto” che nel nostro ordinamento vede contrapposti accusa e difesa, in cui ognuna della parti assume atteggiamenti poco attinenti alla ricerca della verità: l’accusa dice me ne frego e chiedo comunque le condanne tanto poi ci sarà un collegio  a giudicare; la difesa chiede a prescindere l’assoluzione del suo assistito. Questa giustizia a soggetto non mi piace; ovviamente chiedo lumi a chi ne sa più di me. Come è possibile che un pm chieda in aula ben 38 anni di carcere (6 anni e 8 mesi per il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, e 6 anni e 3 mesi per suo fratello, l’imprenditore Nello Aliberti. Per Monica Paolino, ex consigliera regionale di Forza Italia e moglie del sindaco scafatese, e Giovanni Cozzolino, ex staffista comunale, l’accusa aveva avanzato una richiesta di 5 anni e 4 mesi —- pene centellinate in modo tale che nessuno corresse il rischio del carcere) che il collegio giudicante (presidente Cinzia Apicella, a latere Giuseppe Palumbo e Federico Noschese) decide dopo solo due ore di camera di consiglio di smantellare e sentenziare che “il fatto non sussiste”. Un mio amico avvocato, penalista di grido, mi ha risposto che queste sono le “dinamiche processuali”; ebbene se queste sono le dinamiche andate a quel paese tutti quanti; io vorrei un giustizia tesa soltanto alla ricerca della verità e non ad irrigidimenti (soprattutto della pubblica accusa) che impediscono di scendere dalla groppa della tigre che si è deciso di cavalcare.

 

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