by Luigi Gravagnuolo 16 Ottobre 2024
Certo che bisogna mettercela tutta per mettersi contro il mondo intero. In questo Benjamin Netanyahu è professionale.
Gli attacchi missilistici insistenti e prolungati di Hezbollah – cioè degli ayatollah iraniani per interposta milizia – e la prima dura reazione di Israele erano serviti a togliere per un momento il governo Netanyahu dall’isolamento in cui lo aveva cacciato la sproporzionata risposta alla strage del 7 ottobre 2023 col massacro di oltre quarantamila palestinesi di Gaza, tra civili e miliziani. Una cosa sono i Palestinesi, quand’anche succubi di Hamas, altra gli arabi sciiti libanesi. Una cosa è la diffusa solidarietà verso gli uni in Euroccidente, altra quella verso la teocrazia di Teheran.
Gli studenti e i dimostranti che in tutto il mondo partecipano alle manifestazioni pro-Palestina sono gli stessi che difendono le donne iraniane perseguitate dai pasdaran ed i diritti del popolo curdo. Magari i manifestanti non se la sentono di scendere in piazza contro gli spietati barbuti teocrati di Teheran – danno pur sempre fastidio agli Americani, eh! – ma in cuor loro stanno dalla parte delle donne di Vita, Donna Libertà.
Così, quando Israele ha reagito agli attacchi di Hezbollah, eliminandone l’intero gruppo dirigente, non c’è stata una protesta globale contro Tel Aviv. Ci hanno pensato Netanyahu e Ben Gvir a rinfocolare l’indignazione del mondo intero contro se stessi. Ma come si può attaccare proditoriamente il presidio di pace schierato dall’ONU al confine tra Israele e Libano, poi ricominciare con la solita tiritera dell’è stato un errore, ce ne scusiamo, apriremo un’inchiesta e il giorno dopo attaccare ancora. Ed ancora il giorno successivo, fino a intimare con boria all’ONU di smantellare l’Unifil e di lasciare ad horas il Libano.
Il grosso del contingente Unifil è costituito dagli Italiani, milleduecentocinquantasei soldati su circa diecimila provenienti da cinquanta Paesi. Opportuna è stata quindi la perentoria risposta del nostro Ministro della Difesa, Guido Crosetto: “L’Italia e l’ONU non prendono ordini da Israele!”.
Già, l’ONU. Se ci fossero ancora dei dubbi sull’inderogabile urgenza di ripensare l’ordine mondiale scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, basterebbe vedere a cosa si è ridotta l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Praticamente un ente inutile. A volte dannoso. Inefficace, ininfluente, irriso da autocrati e tiranni del mondo intero, eppure ad essi subalterno. Israele, che pur si picca di essere l’unica democrazia del Medio Oriente, se n’è infischiato da sempre delle risoluzioni ONU. E non solo di quelle degli ultimi lustri.
Per non dire della farsa della Corte Penale Internazionale, che continua ad emettere sentenze di condanna con relato ordine di arresto di capi di governo e di stato, i quali a loro volta continuano a girare per il mondo accolti con tutti gli onori dai colleghi di nazioni che pure hanno riconosciuto illo tempore la legittimità della CPI e che pertanto sarebbero tenuti a dare esecuzione alle sue sentenze. Tra i ‘condannati’ dalla CPI per crimini di guerra non mancano Netanyahu e Sinwar.
Quando, il 19 marzo 1978, con le risoluzioni 425 e 426, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite decretò la costituzione di una forza di interposizione tra Israele e il Libano al fine di contenere i rischi di nuovi conflitti tra i due Paesi, Israele approvò. Così come approvò il 28 agosto del 2006 la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza ONU, che prevedeva la cessazione delle ostilità in quell’area.
Firme, impegni assunti, carta straccia ad avviso di Netanyahu e di Hezbollah. E tutto il mondo che sta a guardare.
Con ciò non si vogliono sottacere le ragioni che spingono Israele a non fermarsi neanche di fronte all’ONU. È pur vero che in Libano Hezbollah, come i suoi sodali di Hamas a Gaza, ha creato tunnel e accumulato arsenali al confine con Israele, collocandoli a volte nelle immediate prossimità dell’area sotto controllo Unifil, per cui, se Israele vuole sventarne la minaccia deve necessariamente occupare quelle aree, o colpirle con missili. Ciò però richiederebbe una previa concertazione con Unifil: ‘ecco, abbiamo le prove che qui e lì, nelle adiacenze delle zone da voi controllate, ci sono postazioni di Hezbollah; dobbiamo necessariamente smantellarle; vi chiediamo di lasciarci passare’. Comprensibile e condivisibile. Altra cosa è intimare all’ONU, con irricevibile tracotanza, di andarsene dal Libano per lasciare campo libero all’Idf, pena il bombardamento dell’area!
È evidente che Netanyahu stia in delirio di onnipotenza. Per un verso si sente forte della sua strapotenza militare e della impossibilità di fatto dell’Occidente, degli USA in particolare, di abbandonarlo ai suoi deliri. Dall’altra è ormai prigioniero dell’escalation da lui stesso provocata e alimentata giorno per giorno, al punto che se la sua sfida a Teheran non si dovesse concludere con la vittoria totale, costi quel che costi, sarebbe spodestato dal suo stesso popolo.
Intanto, ad un anno dal 7 ottobre 2023, a Gaza i conti con Hamas non sono stati ancora chiusi. Gli ostaggi – i pochi ancora in vita – stanno lì e, di tanto in tanto, mentre continua la strage dei civili, dalla Striscia continuano a partire razzi contro Israele. Né al Nord lo scontro con Hezbollah pare di imminente soluzione. Pur decapitata del suo gruppo dirigente, l’organizzazione sciita libanese dispone di un esercito molto ben attrezzato e con uomini preparati. Mentre il suo radicamento tra la popolazione non è incrinato. Ha garantito in questi anni al suo popolo un sistema di welfare tra i più avanzati nel mondo. Istruzione gratuita, sanità pubblica, residenze, assistenza ai bisognosi, servizi ai cittadini. E niente tasse, o giù di lì. Solo la disponibilità al martirio, se funzionale alla soppressione dello Stato di Israele.