Alfieri, i fatti parlano chiaro!

 

da Salvatore Memoli (avvocato – giornalista – scrittore)

 

Come sempre, i commenti del giorno dopo, di una importante vicenda giudiziaria del salernitano, risentono dei legami  delle persone all’imputato o carcerato.
Per alcuni é come entrare dentro una letteratura da libro Cuore, dove tutte le valutazioni fanno un bagno di pietà cristiana, di buonismo valutativo, come ci ha abituato il libro di Edmondo De Amicis. Valutazioni innocentiste, perdoniste, che richiamano un’idea della giustizia e degli uomini che la esercitano necessariamente barbina e crudele. Molti potrebbero caderci!
Mettiamo un poco di ordine nelle reazioni emotive e ritorniamo a ritenere che tutto risponde ad un ordinamento in cui esiste la presunzione di innocenza e la tutela del superiore interesse dello Stato. Detto ciò, non dimentichiamo che l’azione penale è obbligatoria e che il pubblico Ministero ( giudice) non può sottrarsi, se l’evidenza della condotta impone la repressione di una violazione.
C’è un solo processo che mi ha sempre spaventato ed è il processo indiziario, dove viene meno la lucidità di una valutazione ictu oculi e si costruisce, per indizi anche concordanti, tutta l’accusa, argomentando l’impossibile.
Quelli che si sono periziati di testimoniare una solidarietà al Sindaco di Capaccio, mi fanno tenerezza per il loro grado di confusione logica che gli permette di far prevalere i sentimenti sui mezzi di prova, fanno la difesa d’ufficio invocando l’onestà dei comportamenti e credono di esercitare una parziale influenza sulla giustizia. Peccato che ci sia caduto anche qualche giurista che si è improvvisato sociologo, preoccupato degli effetti umani di un’imputazione a suo dire infangante.
Questa volta voglio spendere una parola chiara e di rispetto per tutti gli organi giudiziari e tutte le funzioni giudiziarie di chi collabora con la Procura che si muovono nel difficile mondo della ricerca ed istruttoria di condotte criminali. Non possiamo sempre fustigarli e gravarli di sospetto. Ne immagino il lavoro attento e paziente nella valutazione di indizi o di prove, nella raccolta e sistemazione del materiale, nel far rispettare il loro lavoro e nella presentazione alla Procura ed al magistrato incaricato dei loro risultati. Questa gente, che si muove con precise regole, ha un fiuto che viene da lontano e che deve concretizzare in raccolta di prove inattaccabili, altrimenti il PM non le valuta positivamente. A volte ci sono intuizioni, delazioni, testimonianze, indizi… ma quando il loro lavoro permette di depositare le intercettazioni dell’interessato ( telefoniche o ambientali) c’è poco da aggiungere, da mettere il carico per passare all’imputazioni.
Talvolta ci sono imputazioni, per come la stampa le riporta, riferite all’imputato che non lasciano spazio all’interpretazione. Gettare la chiave per impedire all’autore di reati di ripetere l’azione delittuosa, sembra il minimo delle preoccupazioni di un giudice scrupoloso. Fare qualcosa per evitare che ciò che appartiene alla collettività, cioè é di tutti, finisca nel patrimonio di un singolo, é una meritoria opera di repressione penale oltre che sociale.
In questo caso é ridicolo precipitarsi a dare solidarietà, vicinanza, protestare un innocentismo che vorrebbe salvare l’accusato, che deve restare nelle mani della giustizia, finché necessario.
Nel caso di cui si parla, é augurabile che si dimostra che quando l’incolpato sarebbe stato registrato e documentato mentre passava il pollice sull’indice ripetutamente voleva soltanto scongiurare un prurito insistente alle sue dita! Ovvero quando s’impartivano presunte indicazioni ai sottoposti funzionari, superando i legittimi dirigenti, erano soltanto racconti di comportamenti da evitare piuttosto che direttive da seguire che ipso facto avrebbero concretizzato reati per corruzione e collusione. In più dimostrare il contrario di tante altre cose ancora!
In effetti, il materiale probatorio,che la stampa del settore ha passato al lettore, é talmente eloquente e raccapricciante che difficilmente si presterà ad una lettura alla Pico della Mirandola per ricavarne una verità innocentista! Certo i maestri del foro sono capaci di tutto! Lo auspico per l’accusato, del quale tuttavia riconosco molti meriti di fattività come amministratore,  verso il quale però non ho simpatia e del quale sono stato vittima di immeritato turpiloquo, per voler  salvare un’importante azienda pubblica, indicando utili soluzioni.
Essere bravi, intelligenti, superiori alla media di un personale politico, spesso modesto e scalda sedie, non vuol dire che si é migliore. Anche l’angelo più bello, più bravo e più potente divenne un diavolo!
Essere migliori implica  la capacità di stare dentro regole oggettive, soprattutto nell’amministrazione pubblica, valide per tutti e rispettarle, frenando gli impulsi soggettivi e i comportamenti che possono scadere nel crimine.
Sul versante politico le condotte penali sono attribuite sempre alla persona che le compie, sono soggettive. Come i meriti risentono delle capacità personali, i reati o presunti tali, sono essenzialmente riferibili al solo autore. Chi sbaglia risponde personalmente dei suoi errori! Non può riferirli al sistema, all’istituzione o al partito dove milita.
De Luca ci diceva sempre: “Se agite bene sarà un vantaggio per l’istituzione che rappresentate, per il partito e per voi! Se fate errori, risponderete personalmente!”
Aveva proprio ragione, glie lo riconosco ancora!
Ma é proprio sicuro che qualche campanella ( o campana di San Pietro) non suonava da tempo?!
Non dica che a Napoli non arrivavano  i rintocchi, perché l’accusato conviveva nella sua area direzionale, dove il Governatore avrà fatto fatica a non sentire!

 

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