da Antonio Cortese (giornalista)
La settimana scorsa é stato varato il nuovo organigramma Rai, solita lottizzazione, confusione di competenze e passaggi di poltrone. L’ingerenza di Montecitorio sulle emittenti nazionali, nonostante siano passati gli anni della spartizione partitica a carte scoperte, continua un gioco sorpassato ed inadatto agli stessi giocatori: i direttivi non avendo nemmeno più quegli scudi ideologici dc, psi, pci, sono in mano a persone che di reti non conoscono nemmeno quelle da pesca.
Né l’audience né la politica si é accorta della totale lottizzazione unificata ad opera da zio Silvio già circa venti anni fa: i programmi nazionali trasmettono una riuscita emulazione dei modelli ex-fininvest dall’informazione all’intrattenimento fino alle produzione di plastiche fiction.
Guardando il palinsesto sicuramente la gamma é una delle più ricche al mondo, anche sbirciando dai siti web, ma i format e le vesti grafiche si mostrano in uno stile “Sorrisi e canzoni” patinato; le reti principali sono ingombrate da personaggi di quella che di regola doveva essere la concorrenza, i cui modi di pensare e comunicare appartengono ancora a qualche edizione di Lambrate, la cui casella postale é metaforicamente ancora più ingombrata delle lettere al direttore di Saxa Rubra.
Attori, e showman, anchorman e presentatori giornalisti archiviati dal finto dj di turno che in una distrazione canzonettistica per gli italiani tutto l’anno, sono appesantiti da un festival anacronistico il cui format nasceva negli anni cinquanta, con una situazione del tutto diversa socialmente: il che senza produrre né buona musica né nuovi o almeno attuali trend che smuovano il paese da quelli che erano i sogni di cinque generazioni addietro.
Personalmente attraverso internet mi sono permesso di consigliare almeno un’altra location come la Reggia di Caserta perché i teatrini organizzati con l’invenzione della tivù sono l’esempio di un volenteroso bigottismo che appartiene al passato remoto della cultura moderna italiana. Non si devono vendere più lavatrici e lavastoviglie nelle case all’ora di cena, perché oramai le hanno tutti compresi computer e telefonini. Berlusconi provò a farlo capire con il festivalbar dell’Arena veronese, ma poi si arrese capendo che gli conveniva maggiormente entrare in quei teatrini con i propri burattini, al posto delle pedine dei burocrati che ha sempre combattuto; e che ancora non capiscono il mezzo che essi stessi utilizzano. La mia sarà pure una ipotetica soluzione funzionale, ma suggerire di dire stop alla kermesse perché il ciclo si è chiuso da anni, non é frutto di semplice constatazione. Se in quel periodo si registrano record di audience é un dato a favore degli inserzionisti non certo per gli italiani ancora imbambolati: é un dato di cronaca grigia, se non più scura. Il servizio pubblico non ha questa mission.
Da ricordare infine che la raccolta pubblicitaria é in contrasto al canone ancora oggi con la lottizzazione unificata che sto cercando di illustrare. L’illusione della canzonetta denunciata da Edoardo Bennato negli anni settanta non solo non é stata debellata ma si è gonfiata coi soldi dei contribuenti raggirati continuamente ed ancor di più da specchietti per oche e allodole. Ma senza ragionamenti o analisi critico-marxiste, ciò che preoccupa é come mai nel teatro di mangiafuoco non arrivino persone e personaggi a seguito di selezioni e concorsi, con un minimo di grano salis, fino ai direttivi spartiti da baccalureati senza conoscenze tecniche né pubblicitarie e dello spettacolo in generale. Dirigenti incoscienti delle mansioni affidate che oltre all’italiano sanno a stento il dialetto del paese dei nonni, ignari delle tivù oltr’alpe e oceano, quando nel resto del mondo l’elettrodomestico in questione non ha bisogno di switch on e switch off impartito da un megadirettore morto e sepolto.
L’articolo non é diretto alle responsabilità di qualcuno in particolare se non per una valutazione frutto di studi di settore, che voglia invece destare in specie il telespettatore medio a seguito raffronto emittenti estere maggiormente adeguate ai tempi e alle economie attuali oltre che al malessere feedback riscontrato in numerose relazioni pubbliche personali.