MEDICI e INFERMIERI: dalle botte al ragionamento, intervengono i medici … c’è carenza di empatia dice D’Angelo

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Gli ultimi articoli, pubblicati su questo giornale e firmati dal sottoscritto, scritti sulla vicenda dolorosa dell’assalto dei presenti dei pazienti contro medici e infermieri, a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, hanno aperto un dibattito nel quale si sono inseriti anche alcuni medici che operano in strutture pubbliche, cioè quelle finite nel mirino non sono di delinquenti di giornta ma nche di semplici cittadini ormai allo stremo di ogni resistenza e/o comprensione di un ruolo (quello dei medici e infermieri) comunque molto delicato.

Il primo ad intervenire nel dibattito ed a scrivermi è stato il dr. Giuseppe Laurelli (primario reparto complesso di ostetricia e IVG del nosocomio Ruggi di Salerno):

  • Grazie Direttore. Condivido in pieno. La empatia e comunicazione sono parte fondamentale del rapporto medico-paziente troppo frequentemente ridotto a mero mercimonio. Ma questo non giustifica la violenza e l’aggressività.

Sul tema, ripeto delicatissimo è intervenuto anche il dr. Mario Salucci (dirigente medico ospedale di Pagani) che scrive:

  • Come sempre ha centrato il problema. Ma i motivi non sono solo mancanza di empatia. Lo stato di sfascio ed esasperazione dell’utenza lasciata 7-8 ore in attesa in P.S. o messa in lista di attesa per una TAC a due anni. I turni massacranti cui sono sottoposti gli operatori sanitari per mancanza di personale. Una miscela esplosiva. E all’orizzonte cose ancora più devastanti. Un tempo il mal funzionamento o sottofunzionamento delle strutture pubbliche drenava prestazioni presso il privato convenzionato. Oggi visto come sta la situazione le strutture private non chiedono più il convenzionamento, o paghi o ti attacchi alle liste e prendi a pugni e calci gli operatori che resistono nel pubblico. Ci avviamo baldanzosi verso il peggior sistema sanitario e previdenziale di ispirazione americana. Chi è debole fa prima a scomparire. Ma anche quello costa. L’eutanasia assistita in Svizzera, tra viaggio, soggiorno, pratiche e clinica costa 15.000 €. Molto di più di una annualità di pensione minima. Una fine indecorosa.

Due interventi precisi e pungenti e, quindi, rispettabilissimi perché emessi da due operatori all’interno del SSN (servizio sanitario nazionale) nato dalla legge n. 833 del 1978 sulle ceneri delle USL (unità sanitarie locali) ormai penetrate dal devastante potere politico che quella legge intendeva cancellare inserendo la parola “servizio” nella sigla che da quel momento ha cambiato, almeno come facciata, la sanità pubblica spingendola vero “l’universalità, l’uguaglianza e la equità” per la reale estensione a tutta la popolazione delle prestazioni sanitarie.

Ma va, oggi, ancor più rimarcato il pensiero già espresso anni fa da Giovanni D’Angelo (primario ospedaliero e presidente dell’ordine dei medici); pensiero più e più volte sottolineato dal sottoscritto: “Non esiste più nella nostra sanità un sistema di accoglienza, è venuto meno quel momento in cui si crea una condizione di empatia tra il medico ed il paziente, che invece andrebbe ricreata” (fonte Il Mattino – ed. 23.09.24).

Purtroppo la parolina “servizio” non è stata neppure lontanamente compresa da tanti medici e infermieri, ma neanche dagli utenti. E il difetto più gande della categoria sanitaria consiste nel fatto che queste riflessioni (come quella autorevole del presidente D’Angelo) non le hanno mai lette e non le leggeranno mai.

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