Referendum autonomia differenziata, ha prevalso la logica politicista: i possibili esiti

 

 

by Luigi Gravagnuolo 14 Settembre 2024

 

Che l’autonomia differenziata, così come disegnata dalla Legge 86/’24, sia, per dirla per le spicce, una porcata contro il Mezzogiorno è difficilmente contestabile. Che sia arrivata a tempo storico scaduto e che pertanto costituisca un fattore di indebolimento del nostro Paese in una fase molto rischiosa è tangibile.

A sinistra, poi, si è convinti che essa sia anche incostituzionale. Di ciò non siamo convinti. Magari si pone in contrasto col dettato costituzionale in alcuni passaggi, ad esempio laddove annulla di fatto l’equità fiscale; ma che sia in toto fuori della Costituzione ci sentiamo di escluderlo. Comunque su questa querelle si pronuncerà la Corte Costituzionale alla quale hanno presentato circostanziati ricorsi le Regioni Sardegna, Puglia, Toscana e Campania.

Nelle more le forze di opposizione hanno predisposto anche un quesito referendario volto a chiedere ai cittadini se vogliono abrogare tale normativa.

Eccone il testo: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione?

Depositato il quesito in Cassazione è partita, in piena calura estiva, la raccolta delle firme con i gazebo nelle piazze ed in pochissimi giorni è stata raggiunta la quota delle cinquecentomila firme! Non solo, è stata aperta anche la sottoscrizione online e anche con questa modalità è stata immediatamente raggiunta e superata la soglia necessaria. Ad oggi, tra sottoscrizioni fisiche, ai gazebo o presso i Comuni, e sottoscrizioni online, si è sul milione e mezzo di sottoscrizioni. Un’adesione eclatante, segno di una diffusa contrarietà alla legge. Specie al Sud.

Sotto questo rispetto non c’è dubbio che il lancio della campagna referendaria abbia segnato un successo politico per le opposizioni e che costituisca motivo di preoccupazione tra le forze politiche di governo. Alcune di esse, FdI e FI in particolare, godono di notevole consenso nel Sud d’Italia e rischiano di gettarlo alle ortiche seguendo la Lega in quest’avventura.

Circa il successo finale del referendum – sua ammissibilità giuridica, raggiungimento del quorum degli elettori una volta indetto, vittoria del Sì – nutriamo però molti dubbi. Per essere più chiari, siamo convinti che, se dovessimo arrivare al voto referendario, vincerebbero i No all’abrogazione della Legge Calderoli. La sinistra non è nuova ad entusiasmi autolesionisti. Il referendum sulla scala mobile del 1985, partito con euforia analoga all’attuale, segnò la sconfitta più cocente nella storia della Repubblica della sinistra politica e sindacale. Paragonabile solo alla catastrofe della ‘gioiosa macchina da guerra’ di Achille Occhetto nel 1994.

Ma torniamo ai possibili esiti del referendum.

Nel 2017 Lombardia e Veneto convocarono gli elettori per i rispettivi referendum consultivi sull’autonomia. In Lombardia si recò alle urne il 39% del corpo elettorale, che per il 98% votò per l’autonomia. In Veneto l’affluenza fu del 58% ed anche qui il 98% degli elettori votò per l’autonomia. Nel 2025 – data presumibile del referendum – lombardi e veneti avranno cambiato idea?

Il corpo elettorale italiano è composto da 46 milioni di elettori. Di questi 17,6 milioni sono del Nord, 13,3 milioni del Centro e 15,1 milioni del Sud. Se aggiungiamo agli elettori del Nord quelli delle Regioni del Centro più affini al Nord, quali Emilia e Romagna, Toscana e Marche, abbiamo plasticamente la rappresentazione della geografia politica del corpo elettorale. In grande maggioranza residente nelle Regioni più favorevoli all’autonomia differenziata.

Se poi analizziamo la distribuzione geografica delle sottoscrizioni online al quesito referendario, ci accorgiamo che in tutte le Regioni del Nord e del Centro, eccetto il Lazio, sono sotto l’uno per cento del corpo elettorale, mentre al Sud e nelle Isole si è andati oltre l’uno per cento, col picco del 2,5% della Campania.  Vale a dire che la mobilitazione ha coinvolto, com’era ovvio, in maniera dominante il Sud più il Lazio, territori dove ha coinvolto la società civile, mentre in tutto il resto d’Italia è stata circoscritta alla militanza politica nei partiti promotori del referendum.

Se proiettiamo questi dati al 2025, quando potrebbe svolgersi la consultazione referendaria, non possiamo che aspettarci una sconfitta del Sì all’abrogazione della legge. Con l’aggravante che la campagna elettorale, per i toni e i contenuti che inevitabilmente assumerà, rischierà davvero di spaccare l’Italia. Alla fine avremo un’Italia profondamente lacerata e l’autonomia differenziata resa intangibile dal voto popolare!

Se solo i promotori del referendum ci avessero riflettuto con attenzione, avrebbero potuto decidere di sottoporre agli elettori un quesito parziale, volto ad abrogare solo le parti della legge più intollerabili, anche per un elettore del Nord non accecato dall’ideologia separatista. Ad esempio, se si fosse chiesto agli elettori se vogliono abrogare il passaggio della legge in cui si includono tra le competenze trasferibili l’istruzione o la politica verso l’UE, ci sarebbero state più chance di aprire una breccia nel corpo elettorale del Centro-Nord.

E invece no. Ha prevalso la logica politicista, lucidamente illustrata da Matteo Renzi nella recente intervista a Claudio Cerasa su Il Foglio di lunedì scorso: “Nel 2025 però ci sarà il referendum sull’autonomia, che segnerà un passaggio importante:occhio. Il referendum non è detto che passi il quorum, ma farà dividere immediatamente quelli di Forza Italia: se tu levi la Sicilia, la Calabria e la Campania, i forzisti stanno al 5 per cento. Questa divisione tra loro e la Lega è da seguire”.

E l’esito del referendum in quanto tale? Chi se ne frega, l’importante sono le dinamiche tra e nei partiti che possono aprire un varco per la fine del Governo Meloni.

 

 

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