by Luigi Gravagnuolo 5 Settembre 2024
Quattro Regioni hanno presentato il ricorso alla Corte Suprema avversa la Legge 86/’24, alias Legge Calderoli, ovvero la Legge sull’autonomia differenziata promulgata lo scorso 26 giugno.
Si tratta di ricorsi circostanziati. Il chiodo non batte tanto sulla contraddizione della legge con l’assunto della Carta per la quale la Repubblica è una e indivisibile, quanto sul vulnus che essa arreca alle prerogative oggi riconosciute alle Regioni dalla Costituzione, in danno dei ricorrenti (Puglia, Sardegna, Toscana e Campania). Ciò è tanto più pertinente nel caso della Sardegna, Regione a statuto speciale, che denuncia lo scippo di alcune sue prerogative sostanziali perpetrato senza alcuna previa negoziazione con essa.
Argomento ribadito in tutti i ricorsi: le procedure seguite dal Governo e dall’attuale maggioranza parlamentare per il varo della legge sarebbero in contrasto col dettato costituzionale, in quanto avrebbero eluso la inderogabile previa concertazione con le Regioni.
Ma la contestazione non è solo di natura procedimentale. Si impugna ad esempio che la legge prevede che le Regioni possono chiedere l’assunzione delle competenze indicate all’art. 3 della Legge – che a sua volta rinvia al 116 della Costituzione – senza alcun obbligo motivazionale. In pratica la Regione ‘X’ può richiedere il trasferimento ad essa dell’istruzione – per dirne una – ed ottenere automaticamente l’avvio del relativo procedimento senza dover motivare le ragioni per le quali avanza questa richiesta. Non solo, ma una singola Regione, a semplice domanda, può avviare il procedimento del trasferimento di interi blocchi di materie.
Ancora, la Legge Calderoli smantella di fatto la potestà legislativa ‘concorrente’ prevista negli artt. 117 e 118 della Costituzione, il che avrebbe richiesto la procedura della revisione costituzionale, non una legge ordinaria. Né, prima della determinazione delle materie cedibili alle Regioni, la Cabina di Regia, istituita ai sensi della Legge di Bilancio per il 2023 e che doveva provvedere ad una ricognizione dello stato dell’arte oggi in Italia per quanto attiene alla fruizione dei diritti civili e sociali, ha provveduto a tale analisi preliminare.
La Legge 86/’24 disegna di fatto per le Regioni uno status di indipendenza non di autonomia dallo Stato centrale, in quanto impedisce al Governo centrale qualsiasi funzione di raccordo tra le diverse Regioni e ne inibisce i poteri sostitutivi di surroga in caso di inadempimento rispetto agli indirizzi nazionali.
Nel testo della norma sono evidenti contraddizioni e irragionevolezze intrinseche. Si dichiara ad esempio che l’autonomia differenziata non potrà divenire esecutiva qualora dovesse comportare nuove spese per il bilancio dello Stato e si sottace sul fatto che tali maggiori spese sono inevitabili quando si moltiplicano funzioni e gestioni a danno delle economie di scala. Si introducono altresì sperequazioni tra le diverse Regioni quando si stabilisce che nuove e più estese competenze potranno essere ottenute dalla Regioni coprendone le relative spese con i relativi gettiti regionali. Dal momento che il gettito pro capite in Campania o in Sardegna è di gran lunga inferiore a quello della Lombardia, è evidente che la Lombardia gode di un vantaggio competitivo in spregio del dettato costituzionale circa l’eguaglianza delle opportunità.
Ma il dato sul quale più insistono i quattro ricorsi è quello dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep). I ricorrenti contestano che per 9 materie su 23 la legge consente il trasferimento delle competenze alle Regioni richiedenti senza previa loro definizione e finanziamento. Ma anche nel caso delle 14 discipline per le quali la Legge 86/’24 prescrive che esse non siano cedibili alle Regioni se non dopo la definizione dei Lep e il finanziamento del fabbisogno necessario per garantirli a tutte le Regioni, a parere dei ricorrenti non basterebbe neanche il loro finanziamento, perché, ai sensi del dettato costituzionale, occorrerebbe che fosse realizzato, verificato e monitorato previamente il reale conseguimento dei Lep su tutto il territorio nazionale. Viceversa, la legge si limita a subordinare il trasferimento delle competenze alla definizione e finanziamento dei Lep senza prevedere la verifica del loro raggiungimento regione per regione. Peggio, la stessa legge indica un tempo limite: se entro due anni lo Stato centrale non avrà definito i Lep e non li avrà finanziati, le procedure di trasferimento saranno comunque consentite.
Sempre con riferimento ai Lep la legge prevede che essi siano definiti dal Governo tramite decreti legislativi che di fatto escludono il Parlamento e le Regioni dall’inderogabile partecipazione alla legiferazione in materia. Con l’aggravante che la delega al Governo a legiferare in materia gli viene assegnata in modo generico, laddove la Carta esige che la delega possa essere conferita solo in modo circostanziato, definendone puntualmente contenuti, limiti e modalità di esercizio.
Infine, la Legge è in palese contrasto con gli obiettivi del PNRR, vincolanti per il Governo e per l’intero Paese.
Su tali ricorsi – innanzitutto sulla loro ammissibilità, quindi nel merito – dovrà ora pronunziarsi la Suprema Corte.
La materia è decisamente complessa e qui non osiamo nemmeno prefigurarne le decisioni. Va però detto che, dalla Riforma del Titolo V ad oggi, la Corte è stata inondata di ricorsi inerenti presunti o reali conflitti di competenze tra Stato e Regioni. La giurisprudenza costituzionale, quindi, non è ai primi passi, tant’è che ad essa i ricorrenti hanno fatto ripetuti richiami e rinvii. La decisione della Corte potrebbe perciò essere anche rapida.
Per quanto ci riguarda, riteniamo infondato l’assunto per il quale autonomia differenziata significa ipso facto rottura dell’unità della Repubblica.
E sembrano anche esagerate alcune tesi, ad esempio quella per la quale non basterebbe il finanziamento previo dei Lep, ma sarebbe necessario il loro concreto raggiungimento in tutte le Regioni perché si possa procedere al trasferimento delle competenze. In centosessanta anni di storia le diseguaglianze territoriali in Italia non solo non si sono annullate, ma si sono accentuate. Pretendere che, definito e finanziato il fabbisogno necessario per raggiungere in ogni Regione i livelli delle prestazioni essenziali, si debba poi verificare che essi siano stati effettivamente conseguiti, significherebbe dire che un regionalismo spinto in Italia è impercorribile. E questa sì che sarebbe una posizione incostituzionale.
Alla luce di tanto ipotizziamo che la Corte riterrà in prima istanza ammissibili i ricorsi, quindi che non li accoglierà in toto, dichiarando così illegittima l’intera legge, e che invece ne censurerà singoli passaggi. Aprendo così la strada ad una sua revisione. Il che vanificherebbe anche le firme raccolte per il referendum abrogativo.
E se questa fosse la via di fuga buona per tutti?