by Luigi Gravagnuolo 31 Agosto 2024
L’autonomia differenziata, nella versione della Legge Calderoli, ci interroga su quattro questioni su tutte:
- L’unità nazionale è un valore oggi sentito e riconosciuto dalla maggioranza degli Italiani, quindi da difendere con le unghie e con i denti?
- La legge Calderoli è conforme alla Costituzione della nostra Repubblica?
- I suoi contenuti sono forieri di benefici o di danni per il nostro popolo, o per lo meno per la maggioranza degli Italiani?
- Il Referendum per la sua abrogazione è la risposta giusta?
Cominciamo dalla prima.
Gli Italiani, cioè l’insieme delle persone che parlano la lingua italiana, condividono gli stessi costumi di vita e hanno le stesse radici culturali, esistono sulla terra per lo meno da mille anni a questa parte. Certo, sotto il rispetto della lingua, l’italiano è stato per secoli parlato e scritto solo da un’esigua minoranza di letterati, ma a fianco al latino è pur stato l’idioma delle classi dirigenti che hanno vissuto e governato nella nostra penisola dal basso Medio Evo ad oggi. Ciò mentre la gente semplice continuava a comunicare nei vari dialetti regionali.
Vale lo stesso per il modo di vestire, o di mangiare; ad una base comune ‘italiana’ si sono affiancate nella storia le varietà regionali.
Per parte sua la fede cattolica ha contribuito in modo determinante alla costruzione della comune base valoriale nella quale si sono ritrovati per secoli gli Italiani. Ma essa non è un tratto di per sé distintivo solo dell’italianità. Vi si riconoscono, alla stessa stregua degli Italiani, i Francesi e gli Spagnoli, gli Austriaci e i Croati, gli Ungheresi e i Portoghesi.
Insomma, pur potendosi riconoscere un comun denominatore – lingua, costumi, fede di riferimento – negli Italiani, ivi compresi quelli che vivono all’estero da più generazioni, un vero sentimento nazionale, o se si vuole ‘patriottico’, è un dato storico recente. Il riconoscimento dell’appartenenza ad un’unica patria si è fatto strada nel nostro popolo da non più di trecento anni. E lo Stato nazionale chiamato Italia esiste solo da poco più di un secolo e mezzo. In teoria ed in pratica gli Italiani potrebbero tranquillamente vivere in Stati indipendenti tra loro; così come da italiani vivono in Argentina e in Venezuela, negli USA e in Australia, e altrove nel mondo.
L’Italia dunque per secoli non è esistita in quanto Stato, pur esistendo gli Italiani. E un domani potrebbe non esserci più uno Stato italiano, restando gli Italiani.
La Legge Calderoli non mette in discussione la sussistenza dello Stato Italia. Lo disarticola, prosciugando le competenze dello Stato centrale e potenziando quelle delle Regioni. Vedremo in seguito e nel merito quali conseguenze potrebbero derivarne. Tuttavia l’argomento principale di quanti a sinistra si stanno battendo per la sua abrogazione, la difesa cioè dell’unità nazionale contro la legge ‘spacca-Italia’, rischia di volare sopra le teste della gente senza presa reale nei loro cuori. Ed in verità il federalismo per due secoli è stato la bandiera anche di una parte della sinistra, fermo restando che esso non è stato mai concepito da questa parte politica come disgregazione del Paese in violazione del principio di unità nazionale.
L’alternativa dunque non è oggi tra unità nazionale e smembramento dello Stato unitario, ma tra stato centralizzato e federalismo regionale spinto. La domanda che dobbiamo perciò porci è: la struttura centralistica dello Stato Italia è un valore positivo, da difendere, o no? La risposta richiede un accenno alla contestualizzazione storica.
Gli ultimi trentacinque anni sono stati segnati da due coupure, il collasso dell’Urss e l’invasione dell’Ucraina.
Il crollo dell’Unione Sovietica con la conseguente fine della guerra fredda comportò una straordinaria espansione ed uno sviluppo accelerato dei processi della globalizzazione/glocalizzazione già in atto. Gli Stati centrali sembrarono perdere la loro ragion d’essere, riducendosi a meri esecutori di deliberazioni assunte a livelli sovranazionali, spesso da poteri occulti o comunque non sottoposti ad alcun controllo democratico. Il mondo andò omologandosi e la democrazia – nata storicamente contestualmente alla nascita degli Stati nazionali e consolidatasi nell’età delle nazioni – andò in crisi. La reazione fu la nascita in ogni parte del mondo di identitarismi regionali e di sovranismi populisti. Globalizzazione V/s Sovranismi regionali, questa sembrò essere la dialettica dei nostri tempi.
L’invasione dell’Ucraina ha agito da controtendenza, segnando una radicale frenata di questi processi, pur non cessati d’un colpo. Col ritorno dei conflitti tra Stati e dei protezionismi, accentuati anche dalle politiche delle sanzioni, la globalizzazione ha subito una battuta d’arresto radicale. Hanno così ripreso senso e vigore quindi gli Stati nazionali ed i loro governi centrali.
È in questo contesto che dobbiamo chiederci oggi, nel merito non su base ideologica, se l’autonomia differenziata è utile agli Italiani o piuttosto se non è dannosa.
Oggi, nel mondo travagliato da 59 conflitti militari, due dei quali, i più rilevanti sul terreno geostrategico per le nostre sorti, ai nostri confini, tralasciando la retorica neo-patriottica e al di là delle stesse riflessioni sulla legittimità costituzionale della Legge Calderoli, conviene al nostro popolo indebolire lo Stato centrale e rafforzare le competenze regionali?
La risposta, ad avviso dello scrivente, non può che essere un no inequivoco. La Legge Calderoli, concepita in piena fase di egemonia del globalismo, durante la quale aveva pure un suo senso e le sue ragioni, è arrivata alla conclusione del suo iter legislativo fuori del suo tempo storico. Il federalismo disegnato dalla Legge Calderoli è oggi semplicemente antistorico.