L’Unione europea e il tempo scaduto

 

 

da Angelo Giubileo (avvocato – filosofo)

 

Oggi, contemporaneamente alla rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea per i prossimi quattro anni, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso all’unanimità che, a causa del persistente pericolo d’inflazione, lascerà i tassi invariati, dopo la riduzione dello 0,25% di punto operata il 6 giugno scorso.

A mio parere, le due scelte odierne e soprattutto il modo con il quale sono state adottate confermano lo stallo politico ed esecutivo in cui l’Unione europea versa già da anni, almeno dopo la Brexit.

Elemento di estrema chiarezza sarebbe innanzitutto quello di riconoscere la nascita dell’Unione europea quale progetto di un mercato allargato; messo in crisi, però, fin da subito e in rapida successione, da fenomeni tra i più rilevanti quali la crisi del debito pubblico dei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e, in particolare, Grecia) nel 2007, il soccorso della Bce di Draghi targato luglio 2012 (ricordiamo tutti il suo Whatever it takes!), l’uscita della Gran Bretagna nel 2016, la pandemia da Covid nel 2019 e la guerra in Ucraina da febbraio 2022.

Nulla a che vedere con un progetto politico, che, nel modello dell’Unione europea lungo un trentennio, è rimasto saldamente ancorato non solo a un sistema di maggioranze qualificate ma anche e soprattutto a un sistema di governo dei singoli Stati sovrani. Senza entrare nei dettagli, è sufficiente dire che l’intero sistema è un sistema a maggioranze variabili e ogni decisione può essere assunta solo in ordine ad ogni singolo e specifico caso.

L’auspicio – in linea alla riduzione minima del tasso di sconto predetta – era che le elezioni parlamentari del 6-9 giugno scorso facessero uscire dalle urne una maggioranza politica coesa, e quindi certa e capace di assumere “una decisione politica forte”, finora sempre mancata. A parte – si dice – l’esperienza della vaccinazione per il Covid, su cui però pesa da ieri il giudizio negativo della Corte di giustizia europea. L’accusa per la Commissione, guidata dalla stessa Ursula von der Leyen, dopo una brevissima prima disamina, sembra essere quella di poca trasparenza nei contratti di acquisto dei vaccini.

Ma: quel che oggi è certo – all’esito del voto per la rielezione della stessa Ursula von der Leyen a presidente della Commissione – è che i gruppi politici che l’hanno votata sono stati il PPE, il PSE, i liberali di Macron e i Verdi. Tranne il PPE, esattamente quegli stessi partiti che sono usciti perdenti alle elezioni del 6-9 giugno scorso. Peraltro, sommando tutti i voti dei gruppi, i voti per la rielezione avrebbero dovuto essere 454 invece dei 401 infine riportati.

Alla prova dei fatti, l’auspicio di cui si diceva si è dunque rivelato ancora una volta vano. Ma stavolta – data la corrispondenza dei fatti e delle decisioni che i maggiori players mondiali stanno adottando nel presente e dovranno adottare nell’immediato futuro – è proprio il caso di dire che il tempo dell’Unione europea è nella pratica scaduto.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *