Aldo Bianchini
SALERNO – Sicuramente il “caso Toti”, inerente il governatore della Liguria trattenuto ancora agli arresti domiciliari dl 7 maggio 2024, non rappresenta la restaurazione di “tangentopoli” ma dà, invece, la stura ad un nuovo aspetto della tangentopoli; forse siamo di fronte alla lotta di alcuni PM per la conservazione dei diritti acquisiti da quella stagione per colpa della politica, al fine di poter indagare anche al di là della legge e/o della semplice logica della convivenza civile.
Insomma, se nel ’92 i PM lottavano, almeno inizialmente, nel nome di un presunta legalità violata e di una indipendenza intoccabile, oggi lottano per conservare (e forse ampliare) quelle posizioni di prestigio e di potere conquistate negli anni ’90 più per demerito della politica che per merito loro.
Scrive saggiamente, anche se con molta prudenza, Bruno Vespa nella sua rubrica settimanale su Il Mattino (ed. 13.07.24) in merito al “caso Toti e gli eccessi delle toghe”:
- Nel 1993 chiesi a Francesco Saverio Borrelli, capo della Procura di Milano, perché tenesse in prigione fino alla confessione gli imprenditori indagati. Cosa palesemente illegittima, se generalizzata. «Perché mi rispose solo così avremo la certezza della fine dei loro rapporti criminosi». “Mani pulite”, tra alcuni meriti, ebbe il demerito di stracciare i diritti costituzionali con il risultato (non so quanto casuale) di distruggere i cinque partiti che avevano governato la Repubblica dal ’46. Trentuno anni dopo si ripete la stessa storia. Se Toti avesse confessato il piano criminoso ipotizzato dai magistrati, sarebbe fuori da un pezzo. Stessa cosa se si fosse dimesso. Viene tenuto agli arresti domiciliari da due mesi “perché non ha capito appieno le accuse”. E non avendole capite può commettere di nuovo un peccato. Se mi fanno male le carni crude, mi viene impedito l’accesso a qualunque ristorante nel timore che io ne mangi. I magistrati hanno intercettato Toti e gli altri imputati per quattro anni, non hanno trovato un euro di contributo che non sia stato dichiarato né la prova che senza quei contributi alcune opere non sarebbero state fatte. Gli impediscono, rilasciandolo, di compiere in pieno le funzioni democratiche per le quali è stato eletto, ma al tempo stesso gli consentono di ricevere suoi collaboratori e di dare le direttive politiche che avrebbe dato se fosse libero. Un assurdo sotto ogni profilo. Un “golpe giudiziario”, secondo alcuni. Un illecito costituzionale, secondo Sabino Cassese che è stato giudice della Corte per nove anni. Il tentativo politico di azzerare una giunta che ha avuto meriti indiscussi e favorire chi con metodi democratici non è riuscito a governare la Liguria e spera di farlo su una artificiosa corsia preferenziale. È ovvio che in queste condizioni Toti farebbe malissimo a dimettersi. Le riforme della giustizia non serviranno a niente fino a quando giudici come quelli di Genova faranno il comodo loro senza pagarne mai le conseguenze”.
In poche parole il “caso Toti” può essere inserito in quella fascia sempre più stretta dove si combatte la guerra per il potere; da un lato la politica che cerca affannosamente di raddrizzare la barra della deriva giudiziaria, e dall’altro l’avamposto armato di molti PM che lottano, invece, per il mantenimento delle posizioni acquisite da circa trent’anni.
Facile, quindi, pensare che chi ne fa le spese ha un nome e un cognome: Giovanni Toti immolato sulla linea immaginaria dello scontro titanico in corso sulla giustizia.