da Nicola Femminella (docente – giornalista – scrittore)
Le votazioni per le elezioni europee 2024 sono al vaglio degli analisti che ne valuteranno i numeri per coglierne il valore e il significato. Nel frattempo i responsabili dei Partiti, anche di fronte al responso inconfutabile uscito dalle urne, ricorrono alle mezze verità, cercando di amplificare o addomesticare la dura e mera legge dei numeri. Questi. a mio modesto parere, appaiono abbastanza assertivi nei confronti del risultato di queste elezioni. Si può dire che hanno perso tutti i Partiti, se viene dato il giusto riconoscimento alla percentuale di cittadini italiani che non hanno espresso alcun voto. Infatti, questa tornata elettorale ha fornito il più alto indice di astensione dal voto. Hanno votato solo il 49,6% di quelli aventi diritto (in Campania il 43,7%). Meno cocente è la sconfitta per le liste Fratelli d’Italia, Partito Democratico, Forza Italia e Unione Verdi Sinistra, perché premiate dall’incremento dei voti ricevuti, e attestate rispettivamente sulle seguenti percentuali: 28,8 24,1 9,6 6,8. La maggioranza degli Italiani non si è recata alle urne; molti, è la frase più usata, hanno preso la via del mare, anche se nelle regioni del Nord la giornata non la consigliava. Due cittadine che nel panorama salernitano eccellono per lo splendore della storia trascorsa e del patrimonio culturale ereditato dal passato come Teggiano e Padula, hanno mostrato un disimpegno imprevedibile con il 25,30% circa di votanti. Ma il risultato negativo è apparso evidente in quasi tutti i nostri borghi.
Così facendo, gli Italiani hanno espresso la propria sfiducia verso la classe politica nella sua interezza, notificando che l’Europa non esercita alcun richiamo sulla loro volontà di esercitare un diritto/dovere primario per la vita democratica del Paese e delle istituzioni che gli stati membri della UE si sono date. È lontana da loro una Europa unita e coesa con il compito di garantire benessere, sicurezza e sviluppo ai popoli che hanno scelto di farne parte. Sicuramente le due guerre in Ucraina e nel Medio Oriente hanno avuto il loro peso, perché le guerre di per sé inducono allo sconforto e a riconoscere l’ineluttabilità di eventi di tale entità, per cui compaiono il pessimismo e la chiusura nel proprio guscio. Nasce e si diffonde la convinzione che noi, piccoli mortali, non possiamo esercitare nessun ruolo a fronte di entità quasi metafisiche che decidono le sorti del pianeta. Inoltre, mi sembra, come ho riportato nel mio recente articolo sull’argomento, che le formazioni politiche e i candidati non abbiano approfittato della circostanza per approfondire, al cospetto dei cittadini, il valore dell’unità Europea e l’azione essa che può svolgere a favore delle comunità. L’istituzione europea é quasi estranea agli interessi dei singoli cittadini. Né i Partiti si sono prodigati per annullare tale latente convincimento. Negli incontri televisivi con le forze politiche gli interventi dei rappresentanti politici hanno finito quasi sempre con il ricondurre il dibattito e lo scambio di opinioni alla politica nazionale e ai temi ricorrenti che ogni giorno si propinano ai telespettatori. Naturalmente altre e molteplici sono le cause della mancata partecipazione. Tra quelle imputabili ai Partiti penso che la scomparsa delle sezioni, la mancanza di scuole organizzate dai loro centri studi, che un tempo erano strumenti di formazione ma anche di partecipazione attiva, il non ricorso al comizio nei piccoli paesi che animavano l’appartenenza, abbiano la loro incidenza. La sezione e la piazza erano l’agorà, piccoli laboratori sparsi finanche nei piccoli paesi, nei quali germogliava un percorso che portava alla militanza sentita e partecipata. Questa trovava la sua concreta espressione nell’esercizio del voto, nel cercare proseliti, nel sostare davanti ai luoghi del voto nel tentativo di legittimare chi giungeva a votare i propri candidati. lo stesso ho vissuto tali circostanze da giovanissimo e fino a una certa età. In occasione del voto mi sentivo parte di una comunità nazionale. Oggi imperversa il motivo: “tutti al mare, tutti al mare” e veniamo meno ad un dovere dovuto perché si realizzi una democrazia compiuta. Ricordo che dopo l’Unità d’Italia il diritto di votare era riservato ai soli cittadini maschi di età superiore ai 25 anni che godevano di elevata condizione sociale. Nel 1881 il Parlamento estese il diritto di voto anche alla media borghesia e il limite d’età fu portato a 21 anni. Nel 1912, Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni e conseguito la licenza di scuola elementare e a tutti gli Italiani di età superiore ai 30 anni. Nel 1918 furono aggiunti i giovani diciottenni che avevano prestato servizio durante la prima guerra mondiale. Nel 1925 il diritto fu concesso anche alle donne, limitato alle sole elezioni amministrative, prima della soppressione del voto con la legge N. 237 del 4 febbraio 1926 e del regio decreto 3 settembre 1926, N.1910, allorquando gli organi elettivi dei Comuni furono mandati a casa e sostituiti dal Podestà. Dopo la guerra, il 2 giugno 1946, tutti gli Italiani senza alcuna distinzione, votarono per l’Assemblea Costituente e per il Referendum che spense la Monarchia in Italia, introducendo la Repubblica. Un cammino lungo e tortuoso, con molti uomini e donne che hanno immolato la propria vita per conquistare il diritto di scegliere da chi farsi governare. Pensando a loro, sono tornato nel mio paese di residenza per votare e, durante il viaggio, ho percepito il loro assenso riscaldarmi la coscienza.