Aldo Bianchini
SALERNO – In questi giorni, causa l’aggressione mortale di alcuni cani pitbull contro un bambino in loc. Campolongo di Eboli, è ritornato di grande attualità il problema di quella località che da sempre (almeno a memoria di uomo), anche per la sua conformazione orografica, è uno dei luoghi in cui la clandestinità locale ed internazionale la fanno da padrone, insieme all’altro malavitoso fenomeno del caporalato; il tutto condito da spiccati movimenti di alcune grandi famiglie mafiose giudiziariamente accertate e condannate.
Così come non è mai stato seriamente combattuto il deprecabile fenomeno del caporalato, anche la lotta alla clandestinità è stata poco incisiva – distratta e volutamente male organizzata; ed in quello scenario fatto di tetri capannoni industriali abbandonati si sono consumati i delitti più scellerati da parte della camorra che nella piana del Sele ha scritto pagine storiche di criminalità organizzata ed efferata senza precedenti.
In quella zona (nella vicina Albanella), ricordo a tutti, fu anche catturato il mitico “professore Raffaele Cutolo” capo indiscusso della NCO (Nuova Camorra Organizzata); una zona quella di Campolongo assolutamente simile all’hinterland di Villa Literno in provincia di Caserta dove, già una trentina di anni fa, la popolazione clandestina ed irregolare di immigrati superava quella degli italiani residenti.
Tutti gli organi di informazione regionali e provinciali, in questi giorni, hanno dato ampio risalto non solo alla morte di quel bambino (dilaniato dai cani) ma anche alla qualità della vita in quei luoghi malfamati dal punto di vista aggregativo ed invivibili da quello ambientale in quanto anche le condizioni di tenuta del territorio sono ostili a qualsiasi tipo di corretto insediamento umano.
Qualche giorno fa, il 24 aprile scorso, il quotidiano Il Mattino ha titolato: “”Campolongo non è solo un ghetto ma bisogna definire la sua vocazione – CON LA FLAI ABBIAMO CREATO UN PRESIDIO DEMOCRATICO APERTO AGLI IMMIGRATI E A TUTTA LA COMUNITÀ OFFRIAMO SERVIZI”” per l’ottimo servizio della giornalista Monica Trotta che nell’attacco del suo pezzo ha scritto: “Campolongo è sotto i riflettori dopo la tragica vicenda del bambino morto azzannato dai pitbull. Sono emerse però solo le cose negative, c’è invece anche qualcosa di buono». A parlare è Alferio Bottiglieri, segretario generale della Flai Cgil, ed il «buono» a cui si riferisce è la sua creatura, una sede del sindacato aperta proprio a Campolongo, in quello che viene definito il ghetto degli immigrati, dove è stato istituito «un presidio democratico aperto agli stranieri ma anche a tutta la comunità”.
Sarà sufficiente, mi chiedevo mentre leggevo l’articolo, quanto promesso dalla FLAI-CGIL e dal suo segretario generale Bottiglieri, potrà mai una modesta sede di sindacato risolvere il problema quasi del tutto sconosciuto non solo ai sindacati ma anche alle altre istituzioni che su quel territorio hanno vivacchiato facendo numerose campagne elettorali senza risolvere mai niente.
Mi è ritornato in mente il bel libro scritto dall’avv. Salvatore Memoli “Fuori dalla clandestinità” (ed. Arti Grafiche Salerno – 2009) che racchiude un poderoso lavoro di ricerca e di conoscenza del fenomeno di clandestinità che alligna in loc. Campolongo, proprio dove aveva trovato e riportato alla luce “fuori dalla clandestinità” il giovane SONU, l’indiano che divenne presto parte integrante della famiglia Memoli e che scomparve la mattina del 12 luglio 2007 insieme a “mamma Enza” (la dolcissima mamma di Salvatore).
Lo studio di Memoli sulla clandestinità e la sua traduzione in un libro scritto con grande intensità emotivo potrebbe risolvere anche se in minima parte quel fenomeno se lo stesso libro venisse riletto con attenzione alla luce degli avvenimenti di oggi; un libro che, come scrive l’autore, è dedicato “alla provincia di Salerno e ai suoi abitanti”.
Si eviterebbero, così, facili – fantasiose e filosofiche fughe in avanti perché dl libro emerge con chiarezza che “Campolongo è solo un ghetto”, almeno per ora.