Aldo Bianchini
SALERNO – Non sta scritto da nessuna parte che “Nessuno può sindacare l’operatività degli organi giudiziari e nessuno deve sottrarsi dal partecipare ad un controllo democratico delle attività giudiziarie (come scrive coraggiosamente l’avv. Salvatore Memoli in un suo seguitissimo approfondimento di natura giudiziaria – pubblicato su questo giornale il 19 marzo scorso); questo il mio pensiero che esprimo pubblicamente e in piena libertà (come è giusto che sia in un Paese libero e democratico – così almeno si dice) anche perché la vera natura dell’annoso problema non risiede nei giudici in genere ma soltanto e specificatamente nei “giudici inquirenti”, ovvero negli uffici dei Pubblici Ministeri (P.M.) che oltre ad vere già di per se un illimitato potere (stoltamente lasciato nelle loro mani dalla politica) per il fatto di poter contare sulla “forzata” collaborazione di tutte le Forze dell’Ordine, hanno conquistato anche l’assoluta impunità delle loro azioni spesso travolgenti e montate su castelli di sabbia per scelte soltanto di natura politica, andando ben oltre quello che il loro compito. Dando ovviamente per scontato che il compito di un giudice inquirente è quello di ricercare le prove dell’eventuale colpevolezza dell’indagato, ma anche di acquisire quelle eventuali prove a discarico che all’inquirente verosimilmente non piacciono; prove da presentare innanzi l GIP e poi al GUP per l richiesta di provvedimenti restrittivi e/o di archiviazione.
L’altro giudice, quello giudicante, ha invece il compito di applicare la giustizia commutativa (cioè trasformare la pena in condanna dopo aver sentenziato nei fatti la colpevolezza dell’imputato); senza mai entrare, quindi, nella giustizia distributiva (che è cosa molto diversa) riservata esclusivamente all’apparato politico che governa una Nazione.
Se non c’è questa netta separazione tra le due tipologie di giustizia arriva fatalmente il crac e qualsiasi decreto – legge – leggina – regolamento attuativo diventa come un inutile pezza riparativa ad un sistema ormai al collasso.
E poi, come giustamente sottolinea Memoli, c’è un altro problema che è quello riconducibile a tutti i giudici che non guardano in faccia i loro indagati e/o imputati; tutti dovremmo ricordare il caso di un ragazzo (Robby Hawkins) appena maggiorenne che, dopo un’infanzia e un’adolescenza molto turbolente, qualche anno fa uccise otto persone ferendone altre quindici in un centro commerciale americano e, infine, uccidendo se stesso. Aveva lasciato una lettera nella quale, tra le tante altre cose, aveva scritto: “Mai nessuno mi ha guardato in faccia con amore, forza e severa serenità, nessuno, dai genitori ai medici-psichiatri, ai poliziotti per finire, purtroppo, ai giudici”; l’ultimo giudice che aveva incontrato (pochi giorni prima della strage, in un’aula di Tribunale minorile) gli aveva negato qualsiasi sua richiesta di incitamento alla ripresa di una vita normale dopo i lunghi anni di riformatorio; e quel giudice non lo aveva neppure guardato in faccia.
E la maturità di un giudice deve essere tale da consentirgli certamente di guardare in faccia la controparte senza mai farsi influenzare nella decisione e, soprattutto, senza mai tracimare dalla giustizia commutativa in quella distributiva.
Ed in merito alla storia giudiziaria di Salerno l’avv. Salvatore Memoli va giù duro e senza falsi infingimenti mette a nudo la nostra realtà che tutti conoscono e che tutti fanno finta del contrario: “”Come è avvenuto a Salerno! Non dico che i giudici pensano in modo mirato ma se non pensano, il loro giudicato è nocivo per tutti! Il territorio salernitano ha conosciuto la fine di tante realtà economiche che contribuivano al PIL provinciale e nazionale. Non condanno i giudici e i magistrati che hanno fatto il loro dovere, ma anche fare bene il proprio dovere può comportare una vittoria a metà. Il trionfo della norma è fine a se stessa se poi crea un cimitero nell’economia””.
Sottoscrivo e aggiungo che nella nostra realtà i giudici (verosimilmente i PM) sono andati ben oltre il loro dovere ed ha tralasciato, se non nascosta, la ricerca delle prove a discarico trincerandosi sovente dietro le relazioni ed i rapporti giudiziari infarciti clamorosamente da pregiudizi e scelte politiche.
Sulla visione d’insieme della natura dei delitti, che i giudici sono chiamati ad osservare, cade l’ultimo brandello di giustizia giusta; la visione d’insieme c’è, caro Salvatore, ma soltanto quando essa appare come favorevole all’idea guida dell’inchiesta. I giudici non si interrogano e non riflettono mai sui loro stessi provvedimenti (dicono di non averne il tempo !!) ma si nutro del trionfo entusiasmo derivante dal tintinnio delle manette.
Salvatore Memoli del 19 marzo 2024
Nessuno può sindacare l’operatività degli organi giudiziari e nessuno deve sottrarsi dal partecipare ad un controllo democratico delle attività giudiziarie. In primo luogo perché l’esito delle iniziative giudiziarie si riflette sul territorio. Conservare un giudizio retto non impedisce di valutare la scure giudiziaria su persone, società ed istituzioni di un territorio. Intanto siamo tutti presi dalle valutazioni individuali del giudicato, facendoci coinvolgere dal tipo di provvedimento e dall’incidenza sulle persone. Mi capita di pensare spesso non ad un singolo processo bensì ai tanti processi che coinvolgono la vita sociale ed economica di un territorio. Forse non hanno un filo rosso che li lega, come è giusto pensare. Le conseguenze di tanti giudicati, sebbene con autonomi percorsi processuali, possono essere letti con uno sguardo d’insieme, per ricavarne ricadute che determinano cambiamenti incisivi sugli assetti di un territorio. Non sono sicuro che in Italia venga verificato il lavoro giudiziario all’interno di un distretto, come portato di una politica giudiziaria di governo del territorio. L’azione penale segue la “notitia criminis”, non importa chi commette il reato. Le Procure si attrezzano a perseguire i comportamenti delittuosi, senza cedere a stime statistiche e senza guardare in faccia gli autori degli stessi. È vero e, forse, è anche giusto! Altrove, in altri ordinamenti sovrani l’attività giudiziaria segue altri criteri che danno al sistema un valore di politica giudiziaria che s’interfaccia con il territorio. In qualche ordinamento il vertice della Procura è elettivo, risponde cioè ad impulsi democratici che inseriscono la volontà popolare come elemento determinante della scelta dei giudici.
Argomento non facile da trattare che può determinare spunti di polemica e tante riserve.
Ci sono tanti giuristi validi che possono dire e dare giudizi qualificati.
A me interessa riflettere su tante singole azioni penali che nel loro insieme riescono a falciare l’economia di un territorio operoso. Come è avvenuto nel salernitano. Non faccio l’elenco di uomini, aziende, banche, colossi agroalimentari che sono caduti sotto la scure della giustizia. Penso a provette esperienze di capitani d’azienda passati dalle guide di aziende che incidono sull’economie di un Paese alle manette ai polsi. Col risultato di tanti disastri occupazionali, distruzione di patrimoni, cancellazioni di storie aziendali trasmesse tra generazioni. Certo, la legge ha trionfato, l’azione penale ha fatto centro ma le conseguenze sono state una sciagura senza un disegno giudiziario di governo del territorio e senza strumenti che forse avrebbero potuto prevenire, accompagnare, indirizzare il rigore normativo verso la salvaguardia di patrimoni e non la loro dispersione ed evaporazione. Come è avvenuto a Salerno! Non dico che i giudici pensano in modo mirato ma se non pensano, il loro giudicato è nocivo per tutti! Il territorio salernitano ha conosciuto la fine di tante realtà economiche che contribuivano al PIL provinciale e nazionale. Non condanno i giudici e i magistrati che hanno fatto il loro dovere, ma anche fare bene il proprio dovere può comportare una vittoria a metà. Il trionfo della norma è fine a se stessa se poi crea un cimitero nell’economia. Qualcuno dovrà pensarci e dovrà ricordare che i dati letti nelle annuali aperture degli anni giudiziari andrebbero quantomeno completati da un’analisi delle trasformazioni che la rigida applicazioni delle sentenze non permette di verificare nei territori. Certo mi si dirà che non spetta ai giudici. Ne sono consapevole! Non sono però convinto se i giudici s’interrogano e riflettono sui loro stessi provvedimenti e non voglio pensare ad un loro tronfio entusiasmo del loro risultato. Per ora ls giustizia è troppo lontana dalla realtà!