Note dantesche La figura di Traiano nella Divina Commedia Per uno studio del canto X del Purgatorio

di Giovanni Lovito

La porta si richiude alle spalle dei Poeti che iniziano a salire attraverso la fenditura di una roccia le cui pareti si muovono «come fa l’onda del mare». Il pendio frastagliato, declinante perpendicolarmente dall’alto giro, risulta decorato «con figure d’una perfezione ignota all’arte umana».  Scolpita nella pietra, è visibile l’Annunciazione dell’angelo a Maria; a destra, invece, è riprodotta un’altra storia: gente che canta, divisa in sette cori, mentre David incede danzando davanti all’Arca santa. La terza effigie riguarda l’Imperatore Traiano che, ancor prima di muovere con l’esercito, rende giustizia ad una vedova cui avevano ucciso il figlio. Verso i Poeti, intanto, vengono molte anime che, ricurve sotto enormi massi, espiano in quel luogo il peccato della superbia.

Lo studio simmetrico dei canti della Divina Commedia ha indotto, da sempre, la critica italiana ad esaminare alcuni importanti legami vigenti fra le terzine che compongono l’architettura generale del Poema. Ciacco, Sordello e Giustiniano sono i protagonisti dei ‘canti politici’, simboli, rispettivamente, della città di Firenze, dell’Italia e dell’Impero. Tra il XV e XVI di ciascuna cantica il Poeta colloca alcuni personaggi latori di insegnamenti etici e morali utili alla vita dell’uomo: Brunetto Latini, Marco Lombardo e Cacciaguida, preconizzatore, quest’ultimo, come Ciacco e Farinata degli Uberti, dell’esilio dantesco. Data la sua attinenza con i corrispettivi dell’Inferno e del Paradiso, un ulteriore canto andrebbe esaminato in modo più dettagliato, il decimo del Purgatorio (il canto di Traiano e della vedovella), fondamentale per la comprensione dell’ideale di ‘giustizia’ più volte ricorrente nel pensiero dantesco. Come nel X dell’Inferno, dove sono puniti i ‘superbi’ contro Dio (eretici), nel canto purgatoriale vengono sottoposti al tormento quanti in vita s’erano macchiati del peccato di ‘presunzione’, risultando contrapposti a teologi e filosofi («dodici Spiriti lucenti più del pianeta») che, pur inclini (per la loro conoscenza) ad incorrere in tale traviamento umano/esistenziale, in vita prescelsero modestia e umiltà. Siamo nel ‘Limbo’ dei canti celesti, il cielo del Sole (Par., X), dove le anime si dispongono in tal modo da formare una ghirlanda; Tommaso d’Aquino, esaltandone i meriti, menziona Alberto Magno, il canonista Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi Areopagita, Paolo Orosio, Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda e il teologo Riccardo da San Vittore. Sorprendente, tra la schiera di filosofi, giuristi e canonisti, è la presenza di Sigieri di Brabante, professore all’Università di Parigi, le cui dottrine erano state condannate come eretiche dal vescovo della città francese.

Quivi era storïata l’alta gloria
del roman principato il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i’ dico di Traiano imperadore
e una vedovella lì era al freno,
di lacrime atteggiata e di dolore. [Purg. X, vv. 73-78].

L’immagine della grandezza imperiale («roman principato») raggiunge il culmine nei versi del canto X del Purgatorio. Traiano, il cui governo fu improntato a giustizia e bontà (da cui l’appellativo di optimus princeps conferitogli dal Senato), nelle ‘divine sculture’ delineate sul marmo «trasformato in parola» appare circondato da cavalieri e aquile dorate (effigiate, evidentemente, nei drappi delle bandiere), mentre il senso della giustizia e la magnanimitas del sovrano, mediante la sinestesia del «visibile parlare»,  trapelano dal racconto illustrato  sulle pareti di una roccia che si muove «come fa l’onda del mare»: l’Imperatore è a cavallo; una donna, a cui avevano ucciso il figlio, afferra le briglie e implora ‘giustizia’. Traiano, con affabilità e clemenza, viene incontro alle richieste della vedova, incarnando la figura del ‘principe giusto’ assertore e latore convinto delle due virtù necessarie all’humana civilitas per il conseguimento della beatitudine terrena (giustizia/Impero) e celeste (pietà/Papato).  Il contrasto evidente fra la grandezza di Roma antica e l’umiltà della vedova costituisce l’altro punto essenziale di un canto in cui ad emergere è altresì l’immagine di Papa Gregorio Magno (590-604) propenso, in epoca medievale, a rievocare in vita e convertire alla fede cristiana l’Imperatore romano seguace di virtus e giustizia.
La disamina dei «canti di Sordello», a questo punto, induce ad un necessario raffronto tra i principi della valletta del Purgatorio, che trascurarono di adempiere al loro principale dovere di amministrare e proteggere «la parte più eletta dell’Impero» (l’Italia), e i sovrani del cielo di Giove, simboli supremi di virtus e integrità civile e politica. Re d’Italia e signore di Roma, Rodolfo d’Asburgo (1273-1291), predecessore dell’«uom sanza cura» [Purg. VI, 107; Conv. IV (3)] Alberto d’Austria, avrebbe fatto bene a raggiungere l’Italia, «giardin’ de l’Impero», per ristabilire ordine e giustizia necessari alla pace e alla felicità terrene; non lo fece, per cui nella valletta se ne sta taciturno, espiando la sua pena per «aver negletto ciò che far dovea». Pentiti per il loro grave peccato, i sovrani pregano la Vergine (Purg. VII, 82-84) affinché «faccia apparire all’Italia il suo futuro liberatore», l’Imperatore romano, emblema di giustizia e libertà.

***

Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; ed io notai
le parti sì come mi parver dette.
Diligite iustitiam, primai,
fur verbo e nome di tutto il dipinto;
Qui iudicatis terram, fur sezzai.
Poscia nell’M del vocabolo quinto
rimasero ordinate sì che Giove
pareva argento lì d’oro distinto. [Par. XVIII, vv. 88-96].

Nel cielo di Giove gli spiriti ‘giusti’ si dispongono in trentacinque lettere, formando la frase Diligite iustitiam, qui iudicatis terram, con un chiaro riferimento a quanti, sulla terra, sono preposti all’osservanza e al rispetto della legge e della iustitia. Tematiche già prospettate in alcuni canti precedenti: nel sesto del Purgatorio, dove il P. mette in risalto il disordine sociale e politico della Nazione provocato dall’assenza dell’Imperatore (Arrigo VII) in Italia; nel VI del Paradiso, in cui Giustiniano, che dalla legislazione romana aveva tratto l troppo e ’l vano, diventa l’esempio mirabile del sovrano difensore e sostenitore della giustizia. Un concetto, quest’ultimo, riscontrabile nelle immagini marmoree del canto X del Purgatorio, dove viene punito il peccato della superbia contrapposta all’umiltà; il tutto mediante la figura di Traiano che, ritratto con minuzia descrittiva, aveva fatto della legge il suo punto sostanziale di riferimento, ritrovando, per intercessione di Gregorio Magno, la sua giusta sede nella stella di Giove (sesto grado di beatitudine). Impero (sapienza), Virgilio (ragione), Giove (giustizia): ecco la triade fondamentale su cui s’innalza l’impalcatura storico-filosofica del Poema, sulla base di un sistema simmetrico dei canti riscontrabile non solo (come ha dimostrato Luigi Valli) nell’alternarsi delle figure della Croce e dell’Aquila, ma anche nel susseguirsi di una serie di raffigurazioni simboliche tese a dimostrare e suffragare il significato ‘politico’ dell’opera prima dantesca.
I presupposti teorici di tali fondamentali questioni sono evidenti altresì nel De Monarchia, là dove il P., mediante il binomio Dio (Universo) / Principe (genere umano), sottolinea la centralità dell’Impero rispetto alla Chiesa, agli «Stati particolari» e alle nuove autonomie comunali. Per l’Alighieri, Dio è «omnium spiritualium et temporalium gubernator», mentre è sua intenzione «ut omne creatum divinam similitudinem repraesentet in quantum propria natura recipere potest». Come il cielo, quindi, viene regolato «unico motu, scilicet primi mobilis, et ab unico motore, qui est Deus» [da un unico moto, cioè da quello del primo mobile, e da un unico motore che è Dio], così il genere umano «tunc optime se habet quando ab unico Principe tanquam ab unico motore, et unica lege tanquam ab unico motu in suis motoribus et motibus reguletur» [si trova ottimamente quando viene regolato nei suoi motori e nei suoi moti da un unico Principe, come da un unico motore, e da una sola legge, come da un solo moto] {De Mon., I, XI}. In tale prospettiva ideologica risulta comprensibile la presenza dell’Imperatore ‘pagano’ nel Paradiso. L’aquila, «viva di mille vite che in lei si fondono in una», inizia a parlare, asserendo che fu proprio Dio a volerla assumere in cielo per il suo giusto operare; biasima e condanna, quindi, i capi di Stato incuranti del senso di giustizia, fondamentale per la sopravvivenza dei popoli e delle Nazioni (Par., XIX). Al vertice della raffigurazione celeste, le anime collocate nell’occhio visibile sono le stesse scolpite nei rilievi purgatoriali. Tra esse, quella di Traiano, menzionato ancora una volta dal P. per la pietas e la clemenza dimostrate nei confronti dell’umile «vedovella»:

Dei cinque che gli fan cerchio per ciglio,
colui che più al becco mi s’accosta
la vedovella consolò del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l’esperienza
di questa dolce vita e de l’opposta [Par. XX, vv. 43-48].

Nelle adiacenze risalta l’anima di Costantino il Grande, protagonista della cessione a Papa Silvestro (primo ricco Patre) del potere politico sull’Impero Romano (Donatio), con il consequenziale trasferimento della sede imperiale, del Diritto e delle antiche leggi dell’Urbe presso la città di Bisanzio:

L’altro che segue con le leggi e meco
sotto buona intenzion che fe’ mal frutto
per cedere al pastor si fece greco [Par. XX, 55-57].

Resta vero quanto osservò Giuseppe Toffanin in merito alla corrispondenza vigente fra i personaggi biblici e storici del Paradiso e le visioni del Purgatorio. Notando l’assenza di Virgilio nel cielo di Giove, lo studioso asserì: «Pagani, dunque, in origine Traiano e Rifeo. Ma la loro salvazione che cosa rappresenta? Un’eccezione? Neppur questo ci dice l’aquila che evade dalla gran questione. Se gli occhi visibili fossero stati due, una volta collocato nell’uno David […], Dante non avrebbe potuto collocare nella pupilla dell’altro se non un corrispondente personaggio imperiale: e chi altro corrispondente al cantor dello Spirito Santo se non il cantor dell’Impero?».
Il costrutto simmetrico dei canti, che nel binomio Aquila (Impero) / Croce (Dio) ritrova il suo elemento cardine, ritrova la sua acme alla fine del Poema, nei versi del canto trentesimo in cui la simbiosi Cielo/Terra viene suggellata dalla maestosità del ‘gran seggio’ imperiale su cui, ancor prima della morte del Poeta, si sarebbe assisa «l’alma che fia giù agosta / dell’alto Arrigo», l’Imperatore discendente di Augusto cui l’Alighieri guardò come unico rimedio per porre fine alle lotte e ai dissidi intercorrenti fra i Comuni italiani.
La «ragione» dantesca, nel suo profondo legame con la filosofia morale e l’Impero, altro non costituisce se non l’impronta essenziale del Poema. Ciò, rifuggendo dai «trasporti della fantasia», è desumibile dalla disamina di quei versi che riecheggiano (rivalutandola) la storia antica, soprattutto quella imperiale, nella dimensione ideologica di un Umanesimo vivo e fecondo di cui l’Alighieri, sostenitore della «Monarchia Romana Universale», fu uno dei precursori. È intuibile, pertanto, come già nel secolo XIV si andasse consolidando un nuovo concetto di Nazione, nell’ottica di un deciso recupero della storia di Roma e dell’Impero; il tutto alla luce di un dato fondamentale: in molti riconobbero nella sovranità germanica la continuità con quella romana e poco importò che l’imperatore fosse un teutonico eletto da principi tedeschi. A tale opinione, avallata e suffragata dagli attenti studi del Solmi, del D’Ovidio e dell’Ercole, si associa l’altra inerente alla centralità e al predominio dell’Italia fra i popoli e le nazioni della terra: tutto s’era trasformato; era rimasto intatto il primato storico e politico dell’Italia, giardin de lo ’Mperio, di Roma Caput mundi e «creatrice del Diritto», di un popolo eletto da Dio e innalzato a legittimo depositario della dignità e grandezza dell’antico Impero Romano.

 

One thought on “Note dantesche La figura di Traiano nella Divina Commedia Per uno studio del canto X del Purgatorio

  1. RICORDIAMO IL GENIO DI DANTE.
    Complimenti vivissimi al Prof. Giovanni Lovito di Monte San Giacomo per l’interessante articolo sul sommo poeta. Il 25 marzo è una giornata particolare viene ricordato Dantedì, la giornata dedicata al padre della lingua e della letteratura italiana ,la campagna social promossa dalla Società Dante Alighieri che invita il pubblico a individuare un luogo ispirato a dei versi di Dante e a creare una “cartolina” da condividere sui social. L’Italia di Dante i luoghi vissuti o citati dal sommo poeta.Il 25 marzo è la data riconosciuta come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia.

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